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Così l’Alleanza può affrontare il futuro. Dassù racconta il rapporto Nato2030

Marta Dassù racconta a Formiche.net il lavoro “complicato ma interessante” del Gruppo di riflessione che ha redatto il rapporto Nato2030. “Non è stato facile” spingere tutti ad occuparsi del fronte sud, mentre sul rapporto Nato-Ue sono emerse tutte le difficoltà “teologiche”. Eppure, la sintesi mostra che l’Alleanza è pronta ad affrontare il futuro

Tra tecnologie emergenti, fronte sud e assertività russa, “la principale nuova sfida per la Nato si chiama Cina”. Parola di Marta Dassù, senior director per gli Affari europei dell’Aspen Institute, direttore di Aspenia, tra i dieci esperti del Gruppo di riflessione a cui il segretario generale Jens Stoltenberg ha affidato la realizzazione del rapporto Nato2030, presentato ieri ai ministri degli Esteri dell’Alleanza. A Formiche.net racconta il lavoro di oltre sette mesi, le minacce individuae, i trend futuri e le differenze di vedute su alcune questioni più delicate. A unire tutti è stata la convinzione che “l’Alleanza euro-atlantica avrà un ruolo ancora più rilevante in futuro se manterrà la propria coesione interna e diventerà il foro principale di discussione sulle questioni di sicurezza fra Stati Uniti e Paesi europei”.

Partiamo dall’analisi della situazione attuale. Sulla base delle vostre analisi, la Nato è pronta ad affrontare il futuro?

Il senso del rapporto è proprio questo: disegnare una Nato in grado di affrontare le sfide dei prossimi dieci anni. Per questo proponiamo che l’attuale concetto strategico, del 2010, venga aggiornato. Mi pare che questa raccomandazione sia stata accolta positivamente dai ministri degli Esteri, che hanno discusso il rapporto del Gruppo di riflessione proprio ieri. Del resto, la ragione per cui la Nato è durata così a lungo è proprio perché è sempre stata capace di adattarsi ai cambiamenti del contesto internazionale.

Il rapporto nasceva anche dalla sentenza di “morte cerebrale” di Macron. Sentenza smentita?

Il rapporto sottolinea che è necessaria una nuova fase di adattamento. L’alleanza militare funziona bene, e si è già rafforzata dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e la crisi ucraina; va adesso consolidata la coesione politica. La famosa frase di Macron “sull’encefalogramma piatto” della Nato alludeva, in modo un po’ sbrigativo, a questo problema.

La lista delle sfide è molto lunga, ma al primo posto figura ancora la Russia. Perché?

La Russia non è certo una sfida nuova, ma dal 2014 in poi ha dimostrato una maggiore assertività sul fianco est della Nato. Ha aumentato anche il proprio ruolo nel Mediterraneo, sfruttando i vuoti lasciati dal disimpegno americano e dalle divisioni europee. E siamo entrati in una fase di competizione giocata su tavoli diversi e con strumenti diversi (cyber, disinformazione e così via). Questo non deve impedire che, assieme al rafforzamento della deterrenza, si cerchi un dialogo con Mosca: ciò è necessario, ad esempio, per aprire una nuova fase del controllo degli armamenti. Ma è necessario che la Russia cambi atteggiamento verso l’Europa: le illusioni di Pratica di Mare fanno parte di un’altra epoca.

E tra le nuove sfide, quale è la principale?

La principale nuova sfida si chiama Cina. Il rapporto chiarisce che la superpotenza asiatica non costituisce ancora, per la Nato, una minaccia diretta. Eppure, l’Alleanza deve occuparsi dei riflessi di sicurezza dell’ascesa cinese. In sostanza, deve acquisire un’ottica globale, anche se resterà un’alleanza regionale.

Perché?

La ragione è molto semplice. Se la Nato non discuterà di questo tema – dominante per gli Stati Uniti, ma in genere per gli equilibri internazionali – perderà rilevanza anche come alleanza militare. E se europei e americani non coordineranno le loro strategie, la risposta all’ascesa cinese finirà per dividere l’alleanza. Per questo, il Gruppo di riflessione propone di creare un Comitato consultivo sulla Cina, che si occupi ad esempio del controllo delle tecnologie strategiche. E propone di rafforzare la partnership con le democrazie del Pacifico (Giappone, Australia, Corea del Sud, Nuova Zelanda, ed eventualmente anche India).

Sono tante anche le raccomandazioni sulle tecnologie disruptive…

Il controllo delle tecnologie emergenti è una seconda sfida molto rilevante, perché la sicurezza occidentale dipenderà anche dal mantenimento di una superiorità in campo tecnologico. Il rapporto ne tratta a lungo, proponendo fra l’altro che gli alleati Nato discutano gli standard, la sicurezza e il controllo delle tecnologie con applicazioni militari, inclusa l’intelligenza artificiale. Conterà la relazione fra governi e settore privato, che va potenziata. E poi esiste tutto il campo della human security, messa in discussione da nuovi rischi globali, dal climate change alle pandemie. La Nato deve rafforzare il proprio ruolo anche in questi settori, dando un contributo alla resilienza delle nostre società. Questo faciliterà fra l’altro l’appoggio dell’opinione pubblica agli investimenti necessari nella politica di difesa e sicurezza.

Torniamo alle aree strategiche. Le richieste dell’Italia per una maggiore attenzione al fianco meridionale a al Mediterraneo sono state ascoltate?

Non ho ancora parlato del Sud, che è un fronte di grande instabilità, ma stavo per farlo. Non è stato facile, devo dire onestamente, spingere il Gruppo di riflessione ad occuparsi in modo esteso del “problema sud”. Dal 2014 in poi, ha prevalso l’attenzione per il fianco est e oggi gli Stati Uniti guardano essenzialmente alla sfida cinese o ai problemi che ho appena citato. Eppure è un quadrante quanto mai rilevante, per i conflitti locali e i loro spill over, a cominciare da una minaccia terrorista che continua a colpire l’Europa. E non va dimenticata la sicurezza energetica, con le tensioni fra Turchia e Grecia. È in questa chiave che il Rapporto si occupa del fianco Sud, proponendo che la pianificazione avanzata della Nato venga razionalizzata e resa operativa; che sia rafforzato l’Hub per il sud presso il Comando alleato di Napoli, che la Nato integri più compiutamente il contrasto al terrorismo nella sua strategia, che la partnership con i Paesi del Mediterraneo sia ripensata e resa più efficace. E soprattutto che sia delineata una razionale divisione del lavoro fra responsabilità dell’Ue e della Nato.

A proposito, dalla vostra analisi cosa emerge sul rapporto tra le due organizzazioni? Con l’Ue che lavora sulla Difesa comune, non c’è il rischio di duplicazioni?

La discussione su Ue e Nato, nel Gruppo di riflessione, è stata lunga ed interessante. Non svelo certo un segreto se dico che, dal punto di vista americano, sussiste una certa dose di diffidenza per la “autonomia strategica”, esiste la preoccupazione per eventuali duplicazioni delle forze e per l’accesso dei Paesi terzi al mercato europeo della difesa. Gli alleati europei che non fanno parte dell’Ue, in cui rientra ormai anche la Gran Bretagna, temono che un dialogo a due (Ue-Nato) li discrimini; e vogliono garantirsi un accesso allo European defence fund (Edf). Alla fine siamo riusciti a superare discussioni “teologiche” sull’autonomia strategica, partendo dalle capacità militari. Se l’Europa le rafforzerà (cosa che richiede fra l’altro il rispetto degli impegni sul burden sharing) anche la Nato ne verrà rafforzata.

In definitiva, quale è il suo bilancio sul lavoro del Gruppo di riflessione?

È stato un lavoro complicato ma molto interessante. Non ci siamo mai incontrati direttamente, a causa del Covid. Abbiamo fatto più di 90 video-conferenze, abbiamo scritto il rapporto dividendoci in piccoli gruppi redazionali, abbiamo discusso per ore sulle singole parole e virgole. Ma alla fine un consenso lo abbiamo trovato. Anche se è evidente che non tutti i membri del Gruppo si riconoscono esattamente nelle singole parti, ciascuno ha ottenuto ciò che più gli stava a cuore. Insomma, ha prevalso una logica di team work, che mi sembra abbia funzionato bene.

Come siete riusciti a fare tale sintesi?

Ci ha uniti la convinzione che l’Alleanza euro-atlantica avrà un ruolo ancora più rilevante in futuro se manterrà la propria coesione interna e diventerà il foro principale di discussione sulle questioni di sicurezza fra Stati Uniti e Paesi europei. In una logica preventiva e non solo reattiva: un’alleanza politica e militare, come del resto prevede il Trattato Nord-Atlantico. Poi ,tutto dipenderà dalla volontà politica dei singoli Paesi membri. Però, il Rapporto risponde a quattro anni non facili – punteggiati dalle frasi di Trump sull’obsolescenza della Nato e da quelle di Macron sulla sua piattezza cerebrale – guardando alle sfide effettive che il contesto internazionale crea alla sicurezza occidentale. E se ci poniamo in quest’ottica, la Nato, che è già solida sul piano militare, deve funzionare bene anche come alleanza politica, in un’epoca segnata dal confronto fra potenze autoritarie e democrazie occidentali.

Il messaggio arriverà a Washington?

È un messaggio che l’amministrazione Biden sarà pronta ad accogliere. E che l’Europa deve dare: l’autonomia strategica, per essere credibile, deve essere concepita come parte, e non contro l’alleanza occidentale.



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