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Huawei non sopporta più i paletti italiani (ed europei) sul 5G

Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, al 5G Italy attacca il governo e l’Ue per aver scelto di legiferare sul 5G (cioè di mettere in sicurezza la rete dai “fornitori ad alto rischio”). “Ponendo veti” non si diffonde la rete, ha dichiarato lamentando poi discriminazioni in base a prove “che non esistono”(con riferimento al rapporto Copasir)

I muri occidentali non piacciono a Huawei. A spiegarlo è stato Luigi De Vecchis, presidente del ramo italiano dell’azienda cinese protagonista del 5G e al centro della contesa geopolitica tra Stati Uniti e Cina. ”Questa complicata situazione tra i due estremi del mondo, Oriente e Occidente”, ha dichiarato De Vecchis intervenendo all’evento 5G Italy,  ha “portato l’Europa ad andare in una direzione che in realtà è molto complicata, cioè quella di legiferare un aspetto tecnologico che invece nei comitati internazionali di standardizzazione, dove non c’è la politica, è molto fluido” ed è “fatto da tutte le aziende, da tutti gli attori in maniera orizzontale”.

“Sarò molto duro sulla risposta alla sua domanda”, ha spiegato De Vecchis rispondendo a una domanda sui muri tra Occidente e Oriente. “L’Italia e l’Europa stanno affrontando un problema che potrebbe rivelarsi in un errore fondamentale per le future generazioni. Quando la Cina era fabbrica del mondo non ha mai avuto problemi di questo tipo, di sicurezza o di altro, o di diritti che comunque pure ci sono e non li discuto. Ma questi vanno affrontati su tavoli diversi”, ha aggiunto escludendo dalla discussione la possibilità che i paletti imposti dall’Occidente a Huawei non siano soltanto figli di una guerra culturale con la Cina ma anche di un conflitto geopolitico e strategico che ha alimentato il dibattito negli Stati Uniti, nell’Unione europea e nella Nato.

De Vecchis ha poi difeso nuovamente Huawei dalle accuse di ricevere aiuti economici dallo Stato cinese ed è tornato a ribadire con durezza quanto affermato alcune settimane fa intervenendo alla presentazione di un rapporto dell’Istituto per la Competitività (I-Com). In quell’occasione aveva lamentato come l’azienda cinese sia stata coinvolta in un “processo dove non ci è consentito difendersi”, terminato “con una condanna scontata e irreversibile, basata sul mero pregiudizio”, aveva spiegato con riferimento alla relazione del Copasir del 2019. Parole mal digerite da Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir e senatore di Fratelli d’Italia, che aveva ricordato come quel documento, che invitava il governo a escludere la tecnologia cinese dalla rete 5G, era stato approvato “all’unanimità” e “proprio perché unanime, penso debba essere rispettato”.

Infine, De Vecchis si è soffermato sulle priorità del nostro Paese per quanto riguarda l’innovazione. E anche in quest’occasione non ha risparmiato critiche per le restrizioni impostate all’azienda di cui è presidente. “L’Italia deve avere come priorità quella della diffusione della rete 5G”. Che si ottiene, ha spiegato, “non certo a livello politico discriminando o ponendo dei veti” bensì “su prove tangibili”. E quelle su Huawei (probabilmente si riferiva all’etichetta di “fornitore ad alto rischio”) “non esistono”, ha aggiunto.

Come agire? “Di conseguenza”, ha continuato De Vecchis, “si dovrebbero prendere tutti gli attori, i vendor, gli operatori di telecomunicazioni, magari con le istituzioni a fianco, e vedere se effettivamente queste situazioni che riguardano l’aspetto della norma in realtà” sono utili “per far crescere il nostro Paese”. Oggi, secondo il presidente di Huawei Italia non lo sono. Come a dire: senza Huawei l’Italia non può innovare. Un messaggio al governo affinché abbatta i muri anti Huawei e non ne costruisca altri dopo le prescrizioni imposte a Tim.

Cosa farà l’esecutivo? Vedremo. Intanto da alcune settimane negli Stati Uniti, nel bel mezzo del cambio di amministrazione, si registrano le preoccupazioni per gli sforzi di Roma a riservare alle aziende americane e alle aziende cinesi interessate alle sue infrastrutture strategiche lo stesso trattamento. “Un messaggio che rischia di rafforzare l’opinione di quanti a Washington DC ritengono che non si possano fare affari con Roma. Almeno con questo governo”, scrivevamo alcuni giorni fa.

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