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Giorgetti è sempre il più lucido. Ma Draghi serve al Colle

Conte a Palazzo Chigi e Draghi al Quirinale nel 2022. Con questa formula si eviterebbe di “commissariare” il gioco democratico nazionale e si aprirebbe la strada verso il Colle all’italiano più solido, stimato e influente a livello internazionale. Il commento di Roberto Arditti

Nel mentre la maggioranza fa la verifica di governo senza chiamarla verifica di governo, all’opposizione si prova a fare qualche ragionamento.

Il compito spetta, come quasi sempre in verità, a Giancarlo Giorgetti, che si esercita sul tema insieme ad Antonio Polito per l’intervista oggi pubblicata dal Corriere della Sera.

Vorrei dire subito che trovo molto interessante il suo punto di partenza: il centrodestra italiano deve trovare un suo assetto rinnovato e ben più solido per affrontare la possibile (o forse anche probabile) prova del governo che potrebbe arrivare dopo le prossime elezioni del 2023.

Deve cioè la coalizione Lega-FdI-FI fare pace con il fatto che si governo dentro uno schema di rapporti internazionali e deve armonizzare le proprie intenzioni con l’evidenza del ruolo che giocheranno le istituzioni finanziarie internazionali (a cominciare da quelle europee), ruolo ancor più esplicito alla luce dell’esplosione del debito pubblico italiano causa pandemia.

Giorgetti ha ragione e, ancora una volta, si dimostra lucido e lungimirante: farebbero quindi molto bene nel suo partito (e nella coalizione tutta) ad ascoltarlo un po’ di più.

C’è però una seconda parte del ragionamento del numero due della Lega che mi lascia perplesso, quella cioè in cui ragiona sul governo per la restante parte della legislatura e sull’elezione del Capo dello Stato.

In sostanza cosa dice Giorgetti: dice che ci vorrebbe Draghi a Palazzo Chigi (con maggioranza allargata) e che bisognerebbe prolungare il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale (come avvenne per Napolitano) per consentire al nuovo Parlamento nel 2023 di eleggere il “suo” Presidente della Repubblica.

Ecco qui vedo un calcolo politico certamente comprensibile (la Lega sarà meglio piazzata nel prossimo Parlamento che in questo), ma anche due difetti che vorrei evidenziare e che mi portano a ritenere la valutazione di Giorgetti poco realistica e, tutto sommato, nemmeno opportuna.

Innanzitutto è assai improbabile che Pd e M5S finiscano per fare questo doppio favore all’opposizione, annacquando la coloritura politica del governo (Draghi non risponde certo al Nazareno né alla piattaforma Rousseau) e togliendosi il gusto di eleggere il Capo dello Stato per lasciare il compito ad un Parlamento che vedrà Meloni e Salvini assai più forti di oggi.

E poi c’è da dire che questa tendenza (insita nella proposta Giorgetti) tutta italiana alla deroga va combattuta ad ogni costo.

Mi spiego meglio, anche per evitare equivoci. La nostra Costituzione prevede l’elezione del Capo dello Stato per sette anni e non immagina un’elezione “a tempo”.

Rieleggere per una porzione di mandato Mattarella (al di là della indiscutibile qualità della persona) è certamente possibile (il Parlamento lo elegge senza vincoli e lui, quando ritiene, si dimette) e non a caso è già avvenuto. Ma fa parte di quella eterna “provvisorietà” italiana che è il nostro nemico mortale.

Siccome però il senso del ragionamento di Giorgetti è a mio avviso condivisibile (maggioranza e opposizione devono agire con concertato senso di responsabilità data la delicatezza della fase che stiamo vivendo), credo esista una soluzione assai più adatta all’interesse nazionale.

Essa si fonda su due punti essenziali, facilmente descrivibili:

Il governo resta nelle mani dell’attuale maggioranza con la squadra ministeriale (premier compreso) che i partiti ritengono più adatta, ma deve compiere uno sforzo di dialogo vero in sede parlamentare con l’opposizione, cui va formalmente riconosciuto un ruolo nell’elaborazione del piano Next Generation EU.

In questo schema, allo stato, non vi sono alternative credibili a quella della permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte. All’inizio del 2022 il Parlamento porta Mario Draghi al Quirinale, con il consenso più vasto di cui è capace.

Questo schema avrebbe due vantaggi (sempre a mio avviso). In primo luogo lascia il governo nelle mani di chi ha la maggioranza in Parlamento (sia in questa che nella prossima legislatura), evitando di “commissariare” il gioco democratico nazionale.

Inoltre garantisce l’approdo al vertice dello Stato dell’italiano di gran lunga più solido, stimato e influente a livello internazionale, risorsa preziosa per i perigliosi anni che ci attendono. Quando sarà finita la pandemia resterà tutto il resto, cioè un sacco di guai e una montagna di debiti.

Per fortuna ci saranno anche un po’ di soldi da spendere, ma l’ufficiale pagatore non sarà a Roma bensì a Bruxelles (e Francoforte).

Governare con l’ombrello di Draghi al Colle converrà a chiunque, meglio capirlo subito.



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