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Perché il governo supererà la prova del Mes. Scrive Cazzola

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Nella sfilata di maschere di cartapesta della politica italiana, quella di Giuseppe Conte è divenuta il bersaglio più ambito, ma nessuno è riuscito ad abbatterla. Il presidente ne è consapevole ed ostenta sicurezza. Poi – ammettiamolo – chi potrebbe essere incaricato a formare un nuovo governo, se non lui? Lo dice anche il proverbio: non c’è due senza tre

In uno dei primi film della saga degli immortali personaggi di Giovanni Guareschi (Don Camillo e Peppone) vi è una scena in cui, durante una fiera di paese, gli avventori si accostano ad uno stand dove, con un soldo, si possono tirare tre palle per abbattere dei fantocci raffiguranti vari personaggi. Uno di questi è l’effige del parroco “di preghiera e di lotta” che, per quanto presa di mira e colpita, rimane diritta come un fuso (poi si scoprirà che c’era un trucco, ma questa è un’altra storia).

Nella sfilata di maschere di cartapesta della politica italiana, quella di Giuseppe Conte è divenuta il bersaglio più ambito (chi riuscisse ad abbatterla vincerebbe in premio un monopattino elettrico), ma nessuno fino ad ora ce l’ha fatta: le palle colpiscono ovunque, il naso, il ciuffo, la pochette; ma invano. Conte ne è consapevole ed ostenta sicurezza. Anche oggi in un’intervista ad un quotidiano ha dichiarato che il governo (ovvero lui stesso) supererà anche la prova del voto sul Mes (quello riformato), perché alla fine nessuno, nella maggioranza, si azzarderà a segare il ramo su cui è seduto.

Certo, sarà necessario svolgere un’informativa e scrivere una risoluzione finale nelle quali le forze politiche potranno trovare ognuna la sua posizione. Basterà un semplice accorgimento: i favorevoli alla ratifica del trattato leggeranno le righe dispari (1,3,5, 7…), i contrari quelle pari (2,4, 6, 8…). E il voto non sarà per parti del documento, ma per righe. Così ciascuna delle fazioni penserà di aver vinto, ma – ecco l’astuzia volpina – sommando i voti, la risoluzione risulterà approvata pressoché all’unanimità (ci saranno solo quelli di +Europa e di Azione a rompere – inutilmente – le uova nel paniere).

Del resto non potrebbe andare diversamente. Vi immaginate quale confusione se ci fosse una crisi di governo? Il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a fare delle consultazioni da remoto per evitare assembramenti nei saloni del Quirinale, i partiti avrebbero difficoltà a riunire gli organi dirigenti e a formare le delegazioni. Basterebbe che un solo corazziere fosse scoperto positivo al tampone che tutto l’establishment politico e il mondo della comunicazione dovrebbero sottoporsi ad un regime di quarantena. Poi – ammettiamolo – chi potrebbe essere incaricato a formare un nuovo governo, se non Conte? Lo dice anche il proverbio: non c’è due senza tre. Lo stesso Joe Biden – per mantenere una linea di continuità con l’Amministrazione precedente – troverebbe il modo di inviare un endorsement per il nostro Giuseppi; mentre Maurizio Landini minaccerebbe uno sciopero generale se non venisse confermato il premier che gli ha detto sempre di sì.

Poi, quale altro presidente del Consiglio si meriterebbero gli italiani? In fondo, con Conte a Palazzo Chigi possono sperare di vivere di “ristori”, senza lavorare e senza produrre. C’è già che fa i conti su quanti anni sarà possibile tirare avanti con 209 miliardi di bottino, da distribuire in cig e bonus, magari “nazionalizzando” nel frattempo qualche azienda decotta. Se ci fossero dei problemi, se la Unione pretendesse in cambio delle riforme (magari delle pensioni) potremmo cavarcela da soli. Lo strumento è stato trovato e funziona, mette tutti d’accordo: basta votare ogni tanto uno scostamento di bilancio (come ha detto Vito Crimi). Così la risorse si trovano; come se il Mef seminasse i titoli di Stato nell’Orto dei miracoli.

Ma come finirà col debito pubblico in crescita, con il declino produttivo, con il fallimento di decina di migliaia di imprese? Basta dire come Rossella O’ Hara: “Ci penserò domani”. In tutto questo scarico del barile c’è un piccolo eroe di Harlem: il bambino che si accorse che in una diga costruita per proteggere le terre emerse dal Mare del Nord, vi era un foro da cui zampillava l’acqua. Conscio del pericolo infilò un dito in quel pertugio finché non giunsero i soccorsi. È Renato Brunetta il nostro eroe di Harlem, che non accetta di veder disperso un lungo lavoro di cucitura della tela slabbrata della politica, a causa di un ritorno di fiamma del Cavaliere per Matteo Salvini.

E che si ergerà in Aula con un vibrante “non possumus”. Vedremo presto come finirà questa storia che – come capita in Italia – è sempre grave ma non seria.



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