Nasrallah parla per quattro ore della vendetta che Hezbollah e Iran stanno architettando contro i mandanti dell’eliminazione di Soleimani (che il chierico libanese inquadra come Usa, Israele e Arabia Saudita). Parole che si sommano alle tensioni esistenti
Ieri sera il leader del gruppo politico armato libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha parlato in televisione per oltre 4 ore e delineato interessi e priorità che sono importanti perché, al netto della propaganda, tracciano lineamenti che riguardano l’intera regione mediorientale. Hezbollah infatti oltre a essersi incrostata al potere politico libanese fino ai massimi vertici istituzionali è un’entità presente in diversi Paesi dell’area, come la Siria o l’Iraq, e rappresenta il principale di quelli che vengono definiti i proxy con cui la Repubblica islamica, in particolare l’area più aggressiva dei Pasdaran, muove le proprie dinamiche e le proprie ambizioni regionali.
“La resistenza libanese ha oltre il doppio delle proprie capacità missilistiche in questo momento”, ha detto per esempio, toccando un dossier che riguarda da vicino l’Iran e Israele – perché quelle capacità le ha raggiunte tramite l’assistenza dei Pasdaran, che hanno usato il caos del conflitto siriano, dove entrambi puntellano il sanguinario regime assadista, per passare nuovi e più sofisticati armamenti ai libanesi; passaggi che non più tardi di tre giorni fa Israele ha colpito secondo un’attività iniziata nel 2013 e portata avanti con continuità come forma di sicurezza nazionale.
Ci sarà una rappresaglia, ha detto Nasrallah, per l’ultimo attacco: “Gli israeliani dovrebbero stare attenti alle capacità della resistenza a ogni livello: terrestre, marittimo e aereo. Ci sono cose (armi e altro) che ha la resistenza di cui gli israeliani non sanno nulla, e sono in un cerchio molto stretto intorno a loro”. Si tratta anche di propaganda, ma la situazione tra Hezbollah e Israele è delicatissima: c’è un conflitto aperto dal 2016 e mai chiuso; c’è il governo israeliano che ha dichiarato il Libano e l’Iran responsabili delle azioni del gruppo (e dunque un eventuale scontro ha potenzialità di allargamento); c’è la sovrapposizione del dossier su altri fronti come l’Iraq e la Siria.
Nasrallah ha detto che la vendetta per la morte di Ali Mohsen è iniziata: Mohsen era un miliziano ucciso a luglio in un attacco israeliano in Siria, e se ne parla il leader significa che aveva un ruolo importante (forse coordinava il collegamento con gli iraniani). Poi ha annunciato che il gruppo parteciperà alla vendetta per la morte di Qassem Soleimani (il generale a capo del piano espansionistico iraniano attraverso le milizie) e Abu Mahdi al Muhandis (kunya del segretario generale della Kataib Hezbollah, milizia cugina irachena, e capo di tutte le unità combattenti filo-iraniane in Iraq). Soleimani e al Muhandis sono stati uccisi il 3 gennaio in un raid aereo americano mentre si trovavano a Baghdad, forse a coordinare un attacco contro l’ambasciata Usa, che in questi giorni è di nuovo al centro della crisi tra milizie, Stati Uniti e Iran per via dell’arrivo di quella ricorrenza.
L’Iran e Hezbollah, spesso in cooperazione e anche attraverso killer terzi per avere maggiore plausible deniability, hanno già dimostrato la capacità di colpire per vendetta – attraverso attentati e rappresaglie – anche a distanza di tempo. Nasrallah parlando ieri ha accusato dell’operazione contro Soleimani sia gli Stati Uniti che Israele e l’Arabia Saudita, nazione sunnita che vede nel partito/milizia libanese un attore nemico esistenziale. Il leader di Hezbollah ha anche raccontato di essere a conoscenza di un piano per ucciderlo: lo aveva pensato Mohammed bin Salman, l’erede al trono saudita, che per attuarlo avrebbe chiesto supporto al presidente americano Donald Trump, il quale a sua volta si sarebbe rivolto a Israele. Non ci sono altre informazioni, e potrebbe trattarsi solo di una costruzione propagandistica da vendere ai proseliti.
La situazione in Medio Oriente resta tesissima, e d’altronde anche per questo Nasrallah ha scelto il momento per uno dei suoi saltuari – e lunghissimo – discorso pubblico. Ieri sera mentre parlava molti tanker americani sono stati tracciati sopra l’Iraq, e significa che altri jet erano nell’area. Dall’Iran, come ricordato dal Sayyid libanese, la fazione più agguerrita dei Pasdaran sta ancora pianificando la vendetta per la morte di Soleimani, che si abbina all’assassinio del fisico nucleare Moseh Fakhrizadeh, eliminato forse dal Mossad perché considerato alla guida del programma atomico clandestino dell’Iran. Il 7 gennaio una salva di missili da crociera era stata autorizzata dal governo iraniano come gesto di rappresaglia per l’uccisione del generale: aveva colpito alcune basi irachene che ospitavano anche personale americano (ferendo un centinaio di soldati).
Evidentemente quel bombardamento non viene ritenuto sufficiente, anche perché aveva avuto poca risonanza, con tutti gli attori in campo che avevano lavorato per evitare escalation (per primo Trump, che temeva anche il peso elettorale di una guerra). Nel quadro dell’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca, i gruppi aggressivi e reazionari cercano adesso di complicare il tentativo di riaggancio con Teheran che il democratico ha dichiarato di voler intraprendere. Lo fanno per ragioni ideologiche – l’odio verso l’Occidente, contro lo stato ebraico e contro il regno sunnita – ma lo fanno anche per ragioni d’interesse. Certe fazioni dei Pasdaran così come Hezbollah e alcune milizie irachene vivono come uno Stato nello Stato, simili a una mafia, che si tiene in piedi grazie al mantenimento dell’ingaggio con gli Usa e con i nemici.
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