La giornalista e membro del Jerusalem Center for Public Affairs a Formiche.net: “Non cambia nulla. L’Iran resta un Paese che si celebra come il presidio della venuta del Mahdi, il profeta sciita che salverà il mondo costruendo uno Stato islamico totale”
Che Iran sarà senza Khamenei e Fakhrizadeh? Se l’81enne Ayatollah, gravemente malato, potrebbe essere sostituito dal capo della magistratura iraniana, Ebrahim Raisi ma senza un sensibile cambio di rotta, ecco che la perdita dello scienziato nucleare toglie a Teheran il suo braccio operativo che preparava le testate atomiche dei missili balistici.
Lo dice a Formiche.net la giornalista Fiamma Nirenstein, tra le altre cose membro del Jerusalem Center for Public Affairs, che scompone la transizione iraniana leggendola in filigrana anche alla luce dei rapporti con Israele e Turchia e dell’accordo militare e commerciale tra Cina e Iran, di cui poco si parla in Ue.
Il leader supremo iraniano avrebbe trasferito i suoi poteri al figlio Sayyid Mojtaba Hosseini Khamenei. Cosa cambia di fatto nel Paese e nelle sue strategie?
Per dirlo sarebbe opportuno conoscere davvero come stanno le cose, data la confermata tendenza ingannatrice dell’Iran, abile a celare le informazioni a tutto vantaggio del regime. È vero che Khamenei è in avanti con l’età, è vero inoltre che suo figlio 51enne Sayyid Mojtaba Hosseini non è molto diverso da lui. Potrebbe ottenere l’appoggio della Guardia Rivoluzionaria Islamica, lo Stato nello Stato, fondamentale per arrivare al potere nel Paese.
Chi è davvero Sayyid Mojtaba Hosseini?
Nel suo rapporto con l’Occidente è pesato da tutti come un duro, ma non credo possa essere preso in considerazione come un vero successore, anche perché gli manca l’expertise religioso dell’Ayatollah. Ma Khamenei non è un re, che può passare la corona in maniera successoria.
Chi potrebbe essere allora il preferito dell’assemblea degli esperti?
Non solo, il successore dovrebbe anche incassare al contempo l’appoggio della Guardia Rivoluzionaria Islamica. In primis vorrei dire che non credo molto al dibattito che si sta articolando su possibili moderati al potere nel post Khamenei: è un dibattito che va bene in Occidente, ma non nella mentalità iraniana, sciita e musulmana. Non dimentichiamo che il presidente iraniano Hassan Rouhani, che è stato ritenuto erroneamente un moderato, si è invece dedicato con passione a tutte le azioni che hanno portato l’Iran a confermare la sua strada programmatica: l’imperialismo targato Qasem Soleimani, dimostrato dai documenti diffusi dal Mossad accanto al ruolo dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh. Per cui non cambia nulla nella struttura di un Paese che impicca omosessuali e dissidenti, trattando le donne come cittadine di quarta categoria. E l’Iran resta un paese nazionalista che si celebra come il presidio della venuta del Mahdi, il profeta sciita che salverà il mondo costruendo uno Stato islamico totale.
Tra i papabili di cui si discute in questi giorni quale potrebbe spuntarla?
Dall’agosto 2019 si parla molto del capo della magistratura iraniana, Ebrahim Raisi, probabilmente il favorito degli ayatollah. Non mi fido però di alcune analisi secondo cui la presenza di un nome più moderato metterebbe in secondo piano la Guardia Rivoluzionaria Islamica, che ha un ruolo primario e seguiterà ad averlo. Raisi ha una fortissima impronta religiosa, è visto inoltre come un integralista per cui ci sarebbero ripercussioni importanti per Usa e Israele, direi anche per una eventuale trattativa con Joe Biden. Nel 2017 era stato candidato alla presidenza e perse con Rouhani per 23 milioni di voti a 16, dimostrando già una buona capacità elettorale. E Khamenei ha seguitato a sostenerlo da allora.
Quali i suoi punti deboli?
Mi pare di ricordare una battuta di Rouhani secondo cui la gente non vorrà farsi certo governare da uno che è stato a capo della giustizia iraniana, governando tutti i Tribunali. Comunque penso che non cambierà proprio nulla anche con Raisi. Il mondo sciita all’interno del contenitore musulmano è stato sempre minoritario, soffrendo la propria condizione a fronte del mondo maggioritario sunnita. La loro riscossa non è solo di conquista nei confronti di un occidente ingiusto, ma anche contro il mondo sunnita.
Ciò significa che il loro rapporto col mondo sunnita sarà sempre balistico?
No, ad esempio in questo periodo hanno un buon rapporto con Erdogan, così come è noto che hanno avuto buone relazioni con Al Qaeda. Tre settimane fa è stato eliminato Al Zawahiri, aprendo un profondo vuoto di potere dopo la neutralizzazione di Hamza bin Laden e del candidato naturale alla successione Abu Muhammad al Masri, eliminato a Teheran il 7 agosto scorso. Ma quando si parla di rapporti con Al Qaeda o con Erdogan si citano i sunniti. Per cui non giuriamo sul fatto che sunniti e sciiti abbiano sempre un rapporto balistico: quando trovano un obiettivo comune, come battere l’occidente e creare un mondo dominato dalla Sharia, pur con interpretazioni diverse, fanno massa contro Israele e Stati Uniti, anche se l’Europa si coccola con l’idea che non sia così. Inoltre il rapporto tra Turchia e Iran, che in Libia sta trovando terreno fertile, resterà intatto nel post Khamenei.
Quali le conseguenze del nuovo accordo militare e commerciale tra Cina e Iran?
È un elemento di potere e convenienza: si tratta di un importantissimo accordo di antagonismo nei confronti del mondo occidentale, di cui poco si parla in Europa. Aggiungo che Fakhrizadeh è stato presente certamente all’ultimo esperimento nucleare in Nord Corea, si dice anche in altre due occasioni. Quando vi sono rapporti di questo tipo, è facilmente comprensibile il disegno generale che si cela al di sotto.
Germania, Francia e Gran Bretagna annunciano di essere “profondamente preoccupate” per l’annuncio iraniano che intendeva installare ulteriori centrifughe avanzate per l’arricchimento dell’uranio. Può bastare?
I nostri nemici sono molto motivati e noi in Europa molto divisi. Osservo che Biden si è posto in una condizione di avere rapporti positivi con l’Iran. Siamo sicuri che Teheran sia in grado di farlo? Guardando al passato direi di no. Lo dimostra il modo con cui ha perseguito il suo disegno atomico, di cui Fakhrizadeh è regista anche in ambito militare, utilizzando l’accordo JSPOE del 2015 sul programma nucleare iraniano fortemente voluto dall’allora presidente Obama. Quell’accordo prevede che possano essere verificate solo alcune delle centrali nucleari iraniane, mentre altre sono dichiaratamente segrete. E l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica non ha mai avuto il permesso di verificarle.
In un momento caratterizzato dalla fortissima tensione a cavallo tra il quadrante mediterraneo e quello mediorientale quali potranno essere gli scenari dopo l’eliminazione dello scienziato?
Fakhrizadeh ha sovrinteso a tutta la costruzione del dossier atomico ed è stato tra quelli premiati dal regime iraniano quando fu concluso l’accordo Jspoe. Ma non ricevendo un attestato pubblico, bensì in gran segreto, proibendogli anche ogni intervista, in quanto unico garante della continuità del progetto nucleare iraniano. Ricordo che quando Netanyahu presentò al pubblico i documenti sottratti all’Iran dal Mossad, dedicò a Fakhrizadeh un’intera diapositiva. Per cui fa specie che ci siano state tante analisi sull’uso della violenza contro lo scienziato nucleare: non c’è stato solo un moto di ripulsa della cultura occidentale sul caso Fakhrizadeh, ma un’esclamazione collettiva che nasconde sentimenti inconfessabili contro Israele. Qualcuno vorrebbe far passare la tesi che Fakhrizadeh fosse un semplice professore universitario assalito con crudeltà: non è così, in quanto dirigeva l’intera struttura nucleare, tanto civile quanto militare, lavorando fianco a fianco con esponenti come Muhandis (proxi iracheno di Soleimani), e preparando le testate atomiche dei missili balistici. Esattamente come Soleimani, era un generale graduato delle Guardie della Rivoluzione il cui compito era di combattere una guerra, trasformando l’Iran in un super power tanto nella dimensione islamica quanto in quella mondiale.
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