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Italia-Germania, chi ha fatto meglio contro il Covid? Parla Piller

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“Qualcuno anche in Italia ha cercato troppa visibilità. Da noi nessuno ha la verità in tasca, proprio per questo non è un problema ammettere che qualcosa non ha funzionato e cambiare strategia”. Intervista al corrispondente in Italia della Faz, Tobias Piller. “Come usciremo da questa crisi? Forse immaginando di creare qualcosa di nuovo”

Appunti per l’emergenza e anche per gestire il dopo. Tobias Piller, corrispondente in Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitung, illustra a Formiche.net la gestione Merkel del Covid. Punto di partenza l’ammissione da parte della cancelliera di qualche giorno fa, quando il governo tedesco ha raccontato ai cittadini la realtà delle cose, annunciando il lockdown natalizio. Ne viene fuori un interessante parallelo non solo tra Lander e Regioni, ma anche tra due diverse culture politiche che mai come in questo caso stanno rappresentando un preciso ago della bilancia.

“Le misure non hanno funzionato, per questo andiamo in lockdown”. Così ha parlato la cancelliera tedesca al Paese. Una sincerità e una chiarezza che in pochi hanno avuto?

In generale il punto di partenza in Germania è che si va a tentoni nella lotta contro il Covid. Non c’è un solo politico tedesco che reclama di avere la verità in tasca. E in quel senso non c’è la paura di ammettere che si è sbagliato qualcosa. Nella cultura tedesca se una persona è incerta lo ammette senza problemi e non fa finta di sapere, per poi fare una brutta figura. È più ammissibile dire un “non lo so”, tanto più in una situazione come questa.

L’obiettivo delle nuove misure è ridurre il tasso di infezione: come si è giunti a queste nuove regole concordate con i 16 leader statali tedeschi?

All’inizio dell’estate abbiamo progettato una serie di regole su come bisognava comportarsi quando il valore dei nuovi contagi saliva oltre un certo livello. Il metro erano i nuovi casi in sette giorni per 100mila abitanti. Questo valore viene seguito per ogni provincia. All’inizio si pensava che un livello di 35 sarebbe corrisposto ad un allarme e un livello di 50 ad un mini lockdown. Adesso la media in Germania è di 180, con alcune province che hanno fatto registrare addirittura 500. Per cui si è deciso per misure più severe visto che i numeri sono andati fuori controllo. Ma in Germania, in generale, si frena un po’prima che in Italia. Per questo bisogna vedere il numero totale dei cosiddetti casi attualmente attivi, cioè degli infettati. In Italia questo numero è arrivato ad una punta di 800mila il 22 novembre, per poi scendere a 675mila fino ad ora. In Germania sembrava avere raggiunto il picco lo stesso giorno, a 300mila casi. Ma da allora non c’è stata discesa e negli ultimi giorni invece una risalita a 331mila.

I 16 leader statali tedeschi hanno accettato subito le nuove regole?

Anche da noi ci sono state discussioni tra Stato e Länder (Regioni). Altre volte si è litigato per una giornata intera. C’è chi vuole smarcarsi anche qui. Il primo ministro del Nord Reno-Westfalia, Armin Laschet, aspira ad essere il successore di Merkel, al pari di Markus Söder, Presidente della Baviera. Vi sono delle spinte per ottenere visibilità, ma chi tira troppo la corda da noi non viene visto bene. Però dopo questo ultimo allarme, la cancelliera ha detto ai Lander che li avrebbe incontrati solo se tutti avessero fatto la stessa scelta, senza misure diversificate. Alla fine ha avuto ragione lei. Questa volta hanno accettato subito le nuove misure.

Ha visto che in Italia le Regioni lottano praticamente ogni giorno?

C’è da voi una litigiosità maggiore, accanto alla voglia di smarcarsi ma senza avere al contempo la responsabilità delle azioni. In Germania invece le regioni hanno davvero grosse responsabilità e ogni sindaco deve reperire delle soluzioni contando sui propri mezzi per drive-in o ospedali. Un esempio calzante riguarda il presidente di provincia, che in Baviera ha anche le competenze di un prefetto. Ha avuto il potere di trasferire gli anziani positivi al Covid in alcune cliniche di riabilitazione che adesso sono vuote, perché nessuno si sottopone ad operazioni di carattere ortopedico. Noi abbiamo più strumenti di azione ai livelli più bassi della piramide decisionale, assieme a più indipendenza e autonomia che si sommano a maggiore responsabilità degli amministratori locali. Se qualcosa non funziona chi ha sbagliato paga. In Italia vedo un litigio fatto per avere una vetrina, con la responsabilità che alla fine è un po’ di tutti e un po’ di nessuno.

L’Ema si riunirà il 21 dicembre per il via libera al vaccino, dopo la richiesta tedesca di accelerazione delle procedure. Un’altra mossa della cancelliera in un momento complicato?

Sì, ma è stata una cosa molto infelice. Al momento la presidenza nell’Ue ce l’ha la Germania e per l’ambito sanitario il nostro ministro Jens Spahn: è un altro candidato che aspira ad essere cancelliere, ci spera ancora, magari al prossimo giro e fa un po’ il populista. Ma mi chiedo perché non l’ha inserito lui qualche settimana fa quando ha presieduto la conferenza dei ministri Ue.

Che idea si è fatto del record dei morti in Italia?

Forse perché in Italia molti contatti si verificano al pronto soccorso, mentre in Germania questo non accade. Abbiamo una medicina primaria decentralizzata e ciò aiuta molto. In Italia potrebbe essere che a causa della sua medicina statale si è stati forse meno flessibili, inizialmente, anche per aumentare il numero dei tamponi. In Germania lo Stato mette le regole, non tratta i pazienti. Ordina più test e poi ci pensano i laboratori privati. In un sistema decentralizzato il responsabile agisce in maniera più rapida, anche perché c’è una distinzione netta tra chi fa le regole del gioco e chi le applica in concreto. Infine potrebbe essere che in altri Paesi si sono scoperti più velocemente e trattato subito i malati di coronavirus.

La crisi economica post Covid crede sia più grave di quella del 2008? Come funziona con le compensazioni?

Al momento l’intero sistema è come se fosse stato messo in freezer. In Germania si sta cercando di fare le cose semplici, senza distinzione tra singoli settori. È importante quanto un’azienda, un’associazione, un’istituzione culturale è stata colpita, ma poi tutti hanno lo stesso trattamento. In Germania tutti avranno i ristori, anche le associazioni sportive che gestiscono i campi da tennis. La domanda importante riguarda il dopo: qualcuno fallirà comunque? Chi sarà più veloce a far nascere e crescere nuove strutture dopo la fine dell’emergenza? Qualcuno dice che tutto va imbalsamato e si dice che bisogna aggrapparsi al vecchio, ma se il nuovo non nascerà, allora nel medio termine si creerà un’economia perdente. Per cui a metà del prossimo anno, sperando di avere la crisi alle spalle, bisognerà programmare: forse qualcuno fallirà, penso a chi già era debole prima, ma al contempo bisognerà fare il massimo per far nascere rapidamente attività nuove e senza impedimenti burocratici.

twitter@FDepalo

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