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Jimmy Lai resta in carcere. La morsa di Pechino su Hong Kong

È stata negata la libertà su cauzione all’imprenditore e attivista a favore della democrazia. L’accusa e di frode e altri reati previsti nella nuova legge sulla sicurezza nazionale. La pressione della comunità internazionale

Rimane in carcere il magnate dell’editoria Jimmy Lai. Il tribunale di West Kowloon a Hong Kong, ha deciso che l’imprenditore, proprietario del quotidiano Apple Daily, non può godere della libertà su cauzione. L’accusa contro di lui è di frode, e di non avere legami a Hong Kong, per cui è molto alto il rischio di fuga. Il processo inizierà solo il 16 aprile del 2021. L’imprenditore è anche accusato di collusione con “forze straniere” a fini di sovversione, un reato previsto nella nuova legge sulla sicurezza nazionale.

Come ricorda l’agenzia Nova, Lai e due dirigenti del gruppo mediatico Next Digital sono stati accusati di aver utilizzato la sede della società a Tseung Kwan per scopi non consentiti dal contratto di locazione firmato con Hong Kong Science Park. Con questa mossa, avrebbero “risparmiato” più di 2,6 milioni di dollari negli ultimi 20 anni.

Tuttavia, Lai è noto per essere un fervente attivista per la democrazia di Hong Kong. È stato arrestato l’11 agosto, ma poi rilasciato su cauzione (40.000 dollari e una garanzia di 25.000 dollari) il giorno dopo.

La polizia ha anche arrestato alcuni dirigenti della società Next Digital e ha eseguito diverse perquisizioni, poco dopo l’imposizione di sanzioni da parte degli Stati Uniti contro la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, e altri funzionari del governo.

“Non mi aspettavo un arresto così rapidamente – ha dichiarato Jimmy Lai -. Pensavo che la Cina, dopo una risposta così forte della comunità internazionale, comprendesse che l’attuazione della nuova legge sulla sicurezza è un errore evidente”. E ha aggiunto: “Pensavo avrebbero tenuto un basso profilo per rassicurare la comunità internazionale, gli investitori, gli uomini d’affari. Per dire al mondo che la legge sulla sicurezza nazionale ha calmato la situazione”.

Ieri, invece, i leader del movimento pro-democrazia Demosisto, Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam, sono stati condannati  a 13, 10 e sette mesi di reclusione, rispettivamente. I giovani si erano consegnati alle autorità, dopo la sentenza che li riteneva responsabili di organizzare una protesta non autorizzata l’anno scorso a Hong Kong.

Una scelta strategica, secondo Ray Wong, anche lui attivista a favore della democrazia a Hong Kong, in esilio dal 2017, e ricercato dalla polizia per aver partecipato a una manifestazione “secessionista”. In un’intervista con Formiche.net, il fondatore e leader del movimento “Hong Kong Indigenous”, ha spiegato che “l’Ordinanza per l’ordine pubblico, una vecchia legge draconiana di epoca coloniale, permette la riduzione di un terzo della pena se gli accusati si dichiarano colpevoli. Con un sistema giudiziario in mano alle autorità cinesi sapevano di non poter sperare in un equo processo. Tanto vale abbreviare la permanenza in carcere”.

Ma non bisogna farsi illusioni. “Tutte le testimonianze raccontano maltrattamenti e violenze – ha spiegato Wong a Formiche.net -.  Io stesso ho un amico che ha lavorato in carcere per due anni. Quando i secondini sanno che sei un prigioniero politico, ti prendono di mira, non ti trattano come gli altri prigionieri. Ti percuotono, trovano scuse per metterti in isolamento. Wong questo lo sa”.



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