In questo Parlamento non si troverebbe mai una maggioranza che lo sostenga. E se anche la si trovasse sarebbe una coalizione striminzita sempre sull’orlo di una crisi. L’ex presidente della Bce ha le idee chiare, è autorevole anche sul piano internazionale, ha visione. Perché mandare allo sbaraglio una delle poche risorse che restano al Paese?
Alla mia età capita di commettere degli errori. C’è chi si innamora della badante ucraina e la vuole sposare mettendo in ambasce coloro che si vedono sfumare l’eredità. C’è chi si fa truffare da qualche avventuriero che suona alla porta, riuscendo a far sparire la pensione appena riscossa alla posta. C’è chi scaccia la solitudine con abbondanti libagioni di Tavernello (sic!) e chi si ostina a giocare al lotto quel numero che non esce da settimane.
Io mi lascio sedurre dai premier rigorosi. Ho gettato alle ortiche una carriera sindacale di tutto rispetto per sostenere il governo Amato nel 1992, quando la mia confederazione (la Cgil), insieme alle altre, proclamava lo sciopero generale. Ho dismesso una carriera politica per continuare a votare a favore del governo Monti quando il PdL, il partito di cui ero parlamentare (nella XVI legislatura), uscì dalla maggioranza che reggeva quell’esecutivo detto dei tecnici. Figuriamoci allora se non vedrei bene Mario Draghi a Palazzo Chigi alla guida di un governo (come è stato detto) “dei migliori”! Magari con la vice presidenza di Giancarlo Giorgetti che ritengo essere uno degli uomini politici migliori del Paese. Per inciso, mentre il M5S è tutto composto da “scappati di casa”, la Lega è il partito più anziano d’Italia, vanta personalità che si sono fatte le ossa nelle amministrazioni locali, in Parlamento e al governo. Purtroppo l’unico “scappato di casa” è il segretario (insieme a qualche suo accolito, economista sfasciacarrozze).
L’opzione Draghi tuttavia non esiste per tanti motivi. In primo luogo perché in questo Parlamento non si troverebbe mai una maggioranza che la sostenga. E se anche la si trovasse sarebbe una coalizione striminzita sempre sull’orlo di una crisi. L’ex presidente della Bce ha le idee chiare, è autorevole anche sul piano internazionale, ha visione (lo ha dimostrato, ma non ce ne era bisogno, anche nell’ultimo rapporto presentato nei giorni scorsi).
Ma è ipotizzabile che l’opposizione sovranista si accodi ad un leader che è più europeo (ed europeista) che italiano? È ipotizzabile che le “quinte colonne” populiste che hanno salutato la fine delle politiche di rigore non come scelta dettata dall’emergenza, ma come strategia valida per tutte le stagioni si rassegnino a non vivere solo di “ristori” creati mediante scostamenti di deficit? E allora perché chiedere a Draghi di entrare nella “fossa dei leoni”? Perché mandare allo sbaraglio una delle poche risorse che restano al Paese? A Waterloo l’esercito francese sbandò irreparabilmente quando, al fronte, corse la voce che la “Vecchia Guardia”, vincitrice di tante battaglie, era stata costretta a ripiegare.
Non si mette un destriero di razza a correre con i somari, perché rischierebbe di azzopparsi. Gli italiani, poi, devono pagare fino in fondo il fio del voto del 4 marzo 2018. Poi verrà un giorno in cui Mario Draghi farà come Charles de Gaulle nel 1958. Chiamato a salvare il Paese proporrà una nuova Costituzione per la terza Repubblica e la sottoporrà, via referendum, al voto degli italiani, spazzando via i partiti di oggi, senza capo né coda. Ovviamente I have a dream. Si dice così, no?