Per quanto la pandemia sia un evento terribile, credo che sia in atto una sfida di significato ben più profonda: dare senso a questo Natale. Non è materia da aule parlamentari o regionali, ma è questione d’interiorità. La riflessione di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma
Ho messo la mascherina a Gesù Bambino. Non per irriverenza ma per appartenenza. In questo difficile Natale, che stiamo vivendo, il rischio è allontanare significati, relazioni, gioie a causa della pandemia. Sono i “significati” che fanno una festa, soprattutto ora, cioè nelle limitazioni necessarie e pesanti con cui viviamo questo Natale. Eppure, per alcuni, le limitazioni sono diventate sinonimi di “estraniazione” dalla festa. Per quanto la pandemia sia un evento terribile, credo che sia in atto una sfida di significato ben più profonda: dare senso a questo Natale. Non è materia da aule parlamentari o regionali, ma è questione d’interiorità.
Partiamo, per chi crede, dal Bambin Gesù. Perché dovrebbe “indossare” la mascherina? Perché la Parola, il Verbo di Dio “si è fatto carne” (Kaì ho lógos sàrx eghéneto, Gv 1,14). E qui c’è tutta la vicinanza di Dio alla nostra condizione umana, tanto da assumerla, in ogni luogo e in ogni tempo. Eppure quest’affermazione si presta a molti rischi retorici. Per questo fa molto bene partire e ripartire da quella “carne” del Bambino, che è anche la nostra, che è quella di tutti. “Siamo tutti della stessa carne”, ha scandito papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. Per dirla brutalmente la pandemia ci mostra come non esistono differenze etniche, sociali, economiche, politiche. Il Covid colpisce ogni tipo di “carne”. Il Cristo assume questa “carne”, la fa sua, con tutti i suoi limiti e limitazioni, la mascherina ne è solo un simbolo. Ma è un simbolo pregnante perché limita il contatto, proibisce baci, indebolisce la parola, ridisegna la comunicazione. Se pur nella limitazione del momento Cristo redime questa “carne”. Ma redimere vuol dire “ricomprare” e lo si può applicare a tanti aspetti: si può redimere dalla schiavitù, dalla tirannia, dalla malaria, dal servaggio straniero; redimere un popolo oppresso, le classi diseredate, una persona dalla devianza.
Si può redimere dal Covid, in tutte le sue varianti. E quest’ultima redenzione può avvenire – con l’aiuto di Dio, per chi ci crede – se scienza, coscienza e responsabilità lavorano all’unisono. Altrimenti battiamo l’aria. Oppure moltiplichiamo le esibizioni di chi, in politica come in altre istituzioni, vuole solo e solamente “redimere” se stesso. E quindi, anche per la complicità di un giornalismo poco professionale, ogni giorno dobbiamo assistere a mini comizi (in maggioranza come in opposizione) in cui non è una parola a farsi carne, bensì un Io spropositato, cacciatore di consensi e spesso anche ridicolo e insopportabile. Ormai abbiamo esaurito satira e battute storiche per dire che diversi cittadini perbene e seri non ne possono più di questo spettacolo, che non ha niente a che fare con un’opposizione seria e costruttiva (interna o esterna), ma è solo caccia al consenso.
Ma Natale è anche – lo è diventata nel corso dei tempi – una festa laica, dove ognuno è libero di dare un significato: ci auguriamo un po’ più alto del banale consumismo e della stucchevole retorica, che affliggono credenti e non. Esiste una “redenzione” laica? La storia insegna certamente sì. Quella italiana insegna che una grande liberazione – sinonimo di redenzione – è avvenuta perché c’è stato un concorso di tutte le forze sane per sconfiggere la malapianta del Fascismo per creare una democrazia. Come esiste una possibilità di redenzione in tutti i percorsi personali, di gruppo e sociali dove la qualità della vita si è deteriorata per tanti motivi. Dalla Resistenza dobbiamo anche imparare che periodi lunghi come una dittatura, una guerra e, per alcuni aspetti, una pandemia modificano e amplificano atteggiamenti, spesso i peggiori tra questi. Resistere, redimersi vuol dire avere vigilanza profonda e continua sugli atteggiamenti personali e sociali che stanno mutando. In bene o male?
Molto spesso si ha l’impressione che non basti l’esempio positivo di tutti gli operatori sanitari e sociali, che stanno dando se stessi per noi. Non basta nemmeno la memoria dei tanti morti. Non basta la drammaticità della situazione lavorativa di molti. Abbiamo un bel numero di comuni cittadini, parlamentari, presidenti e assessori regionali e comunali, pastori di comunità religiose, conduttori e ospiti di talk-show che chiacchierano, annegando in un mare di mediocrità, di frasi qualunquiste e lezioni di presunto buon governo. E non a caso, spesso, sono quelli che si lamentano di più su quello che manca in questo Natale o i primi a non rispettare le regole. Scriveva Emanuel Mounier: “È solo con l’interiorità che si sfugge alla mediocrità; non con il lirismo o la stessa generosità”. Soprattutto in questo Natale.