Formiche.net ha potuto visionare un elenco di quasi 2 milioni di iscritti al Partito comunista cinese (solo il 2% del totale, il resto è segreto). Tra di loro c’è chi lavora in colossi della difesa (Boeing e Airbus) o nelle aziende che lavorano per il vaccino (Pfizer e AstraZeneca). Ma c’è anche un impiegato del consolato generale italiano a Shanghai
Dal 5G ai porti passando per le aziende strategiche Pechino ha messo gli occhi — e anche un po’ le mani — sul nostro Paese. Ma la campagna cinese d’Italia avviene anche nelle nostre rappresentanze nel Paese asiatico. Formiche.net è in grado di rivelare che nel consolato generale d’Italia a Shanghai ha lavorato da oltre un decennio un membro del Partito comunista cinese. È quanto emerge da quella che Sky News Australia ha definito “la più grande fuga d’informazioni di questo genere al mondo”, che “solleva il coperchio su come opera il partito sotto Xi Jinping”. Si tratta di un lungo elenco, con quasi due milioni di nomi di persone che hanno giurato fedeltà al Partito comunista cinese “infiltrati” nei gangli dei Paesi democratici. Nel mirino aziende (anche farmaceutiche e della difesa), banche, gruppi editoriali, università, consolati e agenzie governative.
IL DATABASE
Formiche.net ha avuto accesso al database che è autenticato dagli analisti di Internet 2.0 e pubblicato in anteprima da un consorzio di diverse testate composto da The Australian, il tabloid britannico Daily Mail, il belga De Standaard e alcuni giornalisti svedesi. Le informazioni sono state sottrate nell’aprile 2016 da un gruppo di dissidenti cinesi da un server di Shanghai, la più grande città e principale hub finanziario del Paese. Nei database compaiono i dettagli — posizione nel partito, data di nascita, numero di carta d’identità ed etnia — di 1,95 milioni di membri del Partito comunista cinese (solo il 2,1% dei 92 milioni di iscritti dichiarati nel 2019 dal partito-Stato): il 62,8% sono uomini e ben il 98,9% è di etnia Han (il gruppo maggioritario in Cina).
LE “TALPE”
I consolati a Shanghai di Australia, Stati Uniti, Regno Unito, Nuova Zelanda ma anche Germania, Svizzera, Sudafrica e Italia erano o sono ancora “infiltrati” in posizioni di rilievo: alcune “talpe” lavorano negli uffici commerciali, altre negli uffici amministrativi, altre ancora si occupano delle visite di ministri e funzionari. I fedelissimi del Partito comunista cinese vengono reclutati attraverso un’agenzia governativa (Shanghai Foreign Agency Service Department). Uno di loro (di cui preferiamo non diffondere nome e cognome) lavora al consolato generale italiano dal 2008 come assistente amministrativo, a quanto risulta dal suo profilo LinkedIn. Soltanto per fare un esempio degli altri “infiltrati” nelle rappresentanze occidentali: il tabloid britannico Mail ha rivelato la presenza di un alto funzionario membro del Partito comunista cinese nel consolato a Shanghai, dove hanno sede anche gli 007 di Sua Maestà.
LE AZIENDE
Tra le aziende presenti nel database, “infiltrate” da dozzine di membri del Partito comunista cinese, ci sono gruppi strategici e centrali nel settore della difesa come la statunitense Boeing, il consorzio europeo Airbus, la francese Thales e la britannica Rolls-Royce. Ma anche gruppi dell’industria farmaceutica coinvolti nella corsa al vaccino contro il Covid-19 come Pfizer, AstraZeneca e GlaxoSmithKline. E ancora; banche come Anz, Hsbc e Standard Chartered; produttori di automobili come Volkswagen e Jaguar Land Rover; diverse aziende di trading che hanno nel nome città italiane come Roma e Milano; o ancora Cosco, la potenza logistica cinese che, secondo un’informativa dell’Aise rivelata da Repubblica, sarebbe socia della turca Yilport, a cui è stata affidata, per i prossimi 49 anni, la gestione del terminal contenitori del porto di Taranto.
LE REAZIONI
L’Ipac (l’Alleanza interparlamentare sulla Cina) ha promesso che “inviterà governi e aziende a rispondere spiegando come intendono salvaguardare i propri valori di fronte alle infiltrazioni”. Il Global Times, megafono della propaganda cinese, parla invece di “violazione della privacy” (da che pulpito, verrebbe da dire!) e mette in dubbio l’autenticità del materiale.