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La telefonata di Navalny, Putin e l’intelligence indebolita

Alexei Navalny, il più importante esponente della lotta alla corruzione e dell’opposizione politica al Cremlino si è fatto riprendere mentre cercava di contattare alcuni dei suoi presunti aguzzini. Vladimir Putin sa perfettamente che i suoi servizi hanno perso smalto, non si muovono più così segretamente e spesso compiono errori grossolani

Ieri il sito di informazione d’inchiesta Bellingcat ha pubblicato un altro documento schiacciante su quanto la struttura dei servizi segreti russa stia perdendo smalto e qualità operativa. Dopo aver individuato i nomi degli agenti dell’Fsb responsabili dell’avvelenamento di Alexei Navalny, il più importante esponente della lotta alla corruzione e dell’opposizione politica al Cremlino si è fatto riprendere dai giornalisti del sito mentre cercava di contattare alcuni di loro. E dopo vari tentativi è riuscito a parlare per 49 minuti con un agente del servizio segreto interno che ha ammesso praticamente tutta la killing mission orchestrata dal governo russo contro di lui.

A memoria è difficile ricordare di un quasi-assassinato che durante la riabilitazione parla al telefono con uno di coloro che hanno tentato di ucciderlo, per di più se questi fanno parte di un’unità segreta dell’intelligence. Unità che secondo quanto affermato in diretta televisiva, durante la conferenza stampa annuale del 17 dicembre, se fosse stata “davvero coinvolta” nell’avvelenamento subito da Navalny il 20 agosto allora avrebbe “portato a termine la sua missione fino in fondo”. E invece, Bellingcat e un consorzio di media ha raccolto e diffuso prove schiaccianti riguardo al coinvolgimento dell’Fsb, e poi Navalny ha fatto ammettere direttamente a un agente operativo la missione, e quello ha confermato che la missione è fallita.

È enorme. A Navalny è bastato spacciarsi per un superiore – Maxim Ustinov il nome che ha usato, dicendo di essere un vice del Consigliere per la Sicurezza nazionale, Nikolai Patrushev – e farsi raccontare che le microperle di agente nervino Novichok (nuova versione del veleno, in fase solida) sono state messe nella sue mutande, in modo che col sudore si sarebbero sciolte e, una volta venute a contatto con la pelle, avrebbero avvelenato il più noto oppositore di Vladimir Putin. L’agente credulone che ha parlato con Navalny si chiama Konstantin Kudryavtsev: prima di lui erano stati contattati altri colleghi, ai quali l’attivista russo si era presentato per nome e cognome. Tutti avevano risposto, perché era stato usato un caller ID spoofing, ossia un sistema che modifica il numero in entrata (in questo caso veniva fatto passare per una linea dell’ufficio centrale dell’Fsb di Mosca). Nessuno durante le prime chiamate aveva però parlato, richiudendo appena Navalny si presentava. A quel punto lui ha scelto di provare a usare la falsa identità: uno gli ha detto “so perfettamente chi sei” prima di chiudere, l’altro ha abboccato.

Se un operativo dell’Fsb cade in un tranello così banale qualche problema il servizio che ha ereditato parte la gran parte dei gloriosi compiti del Kgb deve averlo. La telefonata di Navalny vale alla stregua di uno scherzo telefonico, a cui teoricamente un agente dei servizi segreti non dovrebbe abboccare, e invece quello ha anche ammesso che nella missione ci sono stati due intoppi: primo, l’aereo su cui Navalny si è sentito male mentre tornava a Mosca dalla Siberia non avrebbe dovuto fare un atterraggio di emergenza, e l’oppositore del Cremlino doveva morire in viaggio; secondo, quando l’aereo è atterrato i medici dell’ospedale di Tomsk sono intervenuti in modo molto efficiente e gli hanno dato “un qualche tipo di antidoto” ha detto Kudryavtsev durante la telefonata con Navalny. Effettivamente i paramedici che sono intervenuti hanno subito somministrato atropina, che è un farmaco usato anche contro le intossicazioni da agenti nervini.

Altre cose, dunque: una, i medici russi hanno subito capito che Navalny era stato avvelenato e gli hanno per questo iniettato sul cuore un antidoto ad ampio spettro; l’altra, quegli stessi medici poche ore dopo dicevano che non si era trattato di un avvelenamento ma di uno shock glicemico. Evidentemente tra il soccorso e le prima dichiarazioni erano stati avvisati di sviare dalla verità, ma i servizi non erano stati accorti nell’evitare né l’intervento né l’atterraggio di emergenza. È una pianificazione non certo perfetta se si vuole eliminare un nemico importante e molto forte a livello mediatico, famoso per il suo ruolo in tutto il mondo. Non il massimo per un presidente che si vanta che i suoi servizi sarebbero in grado di portare “fino in fondo” la missione – ossia di uccidere Navalny – e ancora peggio se si pensa che uno di quegli agenti informati su questa missione ad alta sensibilità l’ha raccontata al telefono a uno sconosciuto.

Dunque l’uscita da bullo di Putin durante la conferenza stampa di qualche giorno fa spinge una narrativa che affascina fanatici in giro per il mondo, si diffonde molto in fretta sui social network grazie ad attività di falsificazione delle informazioni, e però non corrisponde alla realtà. Tanto che quegli agenti in missione specialissima sono stati smascherati da una squadra di giornalisti molto bravi e con ottime entrature (Putin dice che “lavorano” per la Cia, in realtà non è così ma è possibile che qualcuno spifferi loro più di un’informazione). Due anni fa qualcosa di simile successe al Gru, che è l’agenzia d’intelligence militare, quando provò a uccidere Sergei Skripal, un ex agente dei servizi che si era rifugiato a Salisbury, in Gran Bretagna. Anche in quel caso le cose andarono male: Skripal subì un tentativo di avvelenamento col Novichok insieme alla figlia, ma si salvò.

Gli agenti pastrocchioni che si occuparono della missione lasciarono il veleno in giro, una donna inglese morì e altri ne furono intossicati, Londra da quel momento ha preso una linea cagnesca con Mosca, Bellingcat anche in quel caso riuscì a scoprire le identità dei due wannabe-assassini. Non solo: quella volta come in questo caso la Russia dimostrò di essere tutt’ora impegnata nella produzione di armi chimiche, nonostante abbia firmato un protocollo internazionale che le proibisce. Di più: durante le rilevazioni attorno al caso Skripal, l’Opcw – organizzazione che si occupa di armi chimiche per l’Onu – subì un attacco informatico col quale si cercava di falsificare gli esami e anche in quel caso gli agenti russi inviati in Olanda per compiere interferenze e scagionare la Russia furono scoperti. Lo stesso accadde in un laboratorio svizzero che stava portando avanti le analisi. Tutti tentativi di depistare le indagini finiti malamente e in modo grossolano.

Il problema è nella strutturazione dei servizi segreti russi, che almeno dal 2012 sono in corso di “riforma”, ma Mosca sembra avere né soldi né tempo per farlo. Quello che è successo è che molti sono stati reclutati dalle forze speciali e spostati nei servizi per velocizzare e risparmiare sulla formazione. Il risultato è però che questi non siano dei sofisticati “James Bond” ma dei “Rambo”, pronti a tutto – anche a forzare tempi e modi delle missioni – e non troppo preoccupata di farsi scoprire. Sul Foglio, Micol Flamini (una giornalista che si occupa costantemente di Russia), cita un’analisi fatta dal Moscow Times proprio su questi aspetti. I nuovi agenti russi vengono definiti “mercenari dello spionaggio”, “la cui durezza si combina con la lealtà e la passione per l’avventura”. Il loro impiego ricorda i dispiegamenti ibridi della Wagner Group, la società di contractor che viene spedita nelle varie aree di crisi per svolgere il lavoro sporco al posto del Cremlino – perché può farlo senza portare le insegne della Federazione russa e dunque si può muovere più liberamente. Putin – secondo quell’analisi – è consapevole che i servizi siano meno segreti, ma non disdegnerebbe: conosce i limiti del suo Paese e “il fatto che i servizi segreti siano diventati così incauti ha anche un effetto intimidatorio”.

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