“Non è stato un centravanti qualunque che fa gol. Colpì l’immaginazione degli anni ’80 che stavano arrivando e segnò il passaggio di un’epoca, in piena sintonia con quello spirito pubblico”. Conversazione con Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera e da sempre grande appassionato di pallone
È morto Pablito, Pablito è vivo. Nel ricordo di un intero Paese e degli amanti del calcio di tutto il mondo che oggi gli hanno detto addio a Vicenza, la città in cui il suo talento è esploso per la prima volta e a cui Paolo Rossi è rimasto legato per tutto il resto della sua vita. Così come il suo nome rimarrà per sempre impresso sulla maglia azzurra, goleador e simbolo della vittoria al Mondiale spagnolo del 1982. Le sei reti messe a segno in tre partite – tra i quarti e la finale – contro Brasile, Polonia e Germania. La gioia incontenibile. L’Italia che torna sul tetto del mondo dopo quasi cinquant’anni. Pablito, el hombre del partido, come allo stesso Rossi piaceva essere definito. “Ma quel nomignolo affettuoso non gli venne dato in Spagna, bensì quattro anno prima, ai Mondiali del 1978”, ricorda in questa chiacchierata con Formiche.net Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera e da sempre grande appassionato di pallone. “Pablito perché era giovane certo, ma non solo per un fatto anagrafico. Anche perché era esile nel fisico, perché era veloce, perché aveva quel bel sorriso ed era una persona ironica”.
Paolo Rossi diventa dunque Pablito nel 1978, al termine di quello che, secondo Battista, “è stato il decennio più cupo del secondo dopoguerra: terrorismo, crisi economica, omicidi politici. La stessa Argentina che ospitò e vinse i Mondiali era l’Argentina dei gorilla, l’Argentina della dittatura militare di Jorge Videla. Un mondo abbastanza lugubre, di un pessimismo assoluto”. La stella di Rossi inizia ad illuminarsi anche sulla scena internazionale, in Italia sta già segnando valanghe di gol con il Lanerossi Vicenza. In Argentina le reti sono tre, la metà esatta di quelle che avrebbe realizzato 4 anni dopo in Spagna. Ma come in molte storie di successo, anche Paolo Rossi, prima di arrivare a toccare il cielo azzurro di Madrid, ha conosciuto il dolore della caduta. Il calcioscommesse, la squalifica: “Fu un caso clamoroso di processo mediatico e di linciaggio. Il percorso di Pablito è stato anche difficile, fatto di sconfitte che poi sono state ribaltate”
Rossi rimane fuori due anni, torna poco prima del mondiale ed Enzo Bearzot, tra le critiche, lo convoca. “Arrivò in Spagna inevitabilmente fuori forma. Ma piano piano iniziò a rialzarsi e poi trascinò l’Italia alla vittoria. La squadra era forte certo, ma Pablito segnava”. E in che modo, peraltro: “Si trovava sempre al posto giusto nel momento giusto. Era un piccolo fulmine, una saetta. Appariva dove doveva apparire. Sono i gol alla Paolo Rossi perché era intelligente, perché sapeva piazzarsi bene, perché giocava d’astuzia. perché riusciva ad anticipare di pochi istanti, a immaginare dove sarebbe arrivato il pallone e a farsi trovare pronto”. E poi con un fisico così diverso dagli altri calciatori: “La sua ricorda un po’ la storia di Davide contro Golia: di fronte alla forza bruta e massiccia dei difensori dell’epoca, quello che apparentemente sembrava il più debole, invece riusciva a vincere. Non giocava di forza, di potenza. E per questo, alla fine, era ancor più decisivo e ficcante”.
I Mondiali di Spagna, la vittoria più bella e inattesa, l’Italia che si riversa nelle piazze, ma per abbracciarsi e festeggiare. Come se, in un certo senso, grazie a Paolo Rossi il nostro Paese sia riuscito a mettersi alle spalle la cupezza degli anni ’70 e a entrare definitivamente nel nuovo decennio: “Gli ’80 sono stati sempre un po’ denigrati, come gli anni della spensieratezza, dell’arricchimento, del disimpegno. Io li ho vissuti in tutt’altro modo, ci fu un senso di liberazione, un nuovo ottimismo, la ritrovata fiducia dopo un periodo molto complicato. Furono una rivoluzione, davvero distrussero un mondo”. E ne crearono uno nuovo, di cui Pablito è stato simbolo indiscusso: “Paolo Rossi è quella roba lì. Nel fisico, nel modo di agire, nella corsa, nella rapidità dei movimenti, nell’intelligenza. Non è stato un centravanti qualunque che fa gol. Colpì l’immaginazione degli anni ’80 che stavano arrivando e segnò il passaggio di un’epoca, in piena sintonia con quello spirito pubblico”.
E anche il mondo finì per innamorarsi di lui, come d’altronde è emerso anche in questi ultimi giorni di lutto dopo la sua scomparsa: “Ricordo che nell’estate del 1983 andai in vacanza in un’isola della Grecia e alcuni ragazzi del posto mi invitarono a giocare a pallone. C’erano due frasi che ripetevano sempre: Italia e Grecia, una faccia, una razza e poi Italia Paolo Rossi. In quegli anni eravamo conosciuti nel mondo anche grazie a lui. Pablito affascinava proprio perché non era forza bruta, ma intelligenza, eleganza, stile. In quello siamo sempre stati forti. Un po’ la chiave del Made in Italy”.
L’icona di una stagione che oggi, in piena pandemia, ci sembra ancora più lontana: “In questa situazione in cui siamo tutti preoccupati, tristi, depressi, la sua perdita è molto significativa. Non c’è Sandro Pertini che esulta, non c’è quell’atmosfera di gioia, non c’è più Paolo Rossi. L’eroe di cui avremmo ancora tanto bisogno ma che purtroppo a 64 anni, così presto, ci ha lasciato”. Addio Pablito, el hombre del partido. E grazie di tutto.