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Perché potete ancora salvare Hong Kong. Parla Emily Lau

Emily Lau, storico volto ed ex presidente del Partito democratico a Hong Kong, prima donna eletta in Parlamento (dove è rimasta 25 anni), spiega come Biden, l’Italia e la comunità internazionale possono ancora salvare il Porto Profumato, “ventitré anni sono un’era, c’è ancora speranza”

Basta pronunciare il nome di Emily Lau a Hong Kong e subito si palesa un volto, una storia. Quella della prima donna eletta al Consiglio legislativo nel 1991, parlamentare per 25 anni consecutivi, fino al 2016, già presidente del Partito democratico. Ma soprattutto una strenua avvocata dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Nel 1984, quando Margaret Thatcher si recò nel Porto profumato in occasione della “Dichiarazione sino-britannica” che ha promesso la consegna di Hong Kong alla Cina continentale entro cinquant’anni, Lau si alzò in piedi, unica, e chiese all’Iron lady: “Due giorni fa, lei ha firmato un accordo con la Cina promettendo di consegnare più di cinque milioni di persone nelle mani di una dittatura comunista. È moralmente difendibile, o è proprio vero che nella politica internazionale la più alta forma di moralità è l’interesse nazionale?”. Trentasei anni dopo, Hong Kong è davvero scivolata nelle mani del governo cinese con la Legge sulla sicurezza nazionale. E i manifestanti residui, da Joshua Wong ad Agnes Chow, da Ivan Lam all’imprenditore Jimmy Lai, finiscono uno ad uno in prigione.

Lau, che effetto le fa l’arresto di Joshua Wong?

È molto triste. Vediamo persone arrestate ogni giorno. Ted Hui, uno dei membri del nostro partito, è andato in Danimarca due giorni fa, e ha annunciato che vi resterà in esilio. Ora questi tre ragazzi. Si sono dichiarati colpevoli e hanno tuttavia ricevuto una sentenza troppo dura. Ce ne saranno altri.

Quanti?

I numeri parlano da soli. Nell’ultimo anno, la polizia ha arrestato più di diecimila persone. Non finisce più. Ma non bisogna fermarsi. Continueremo a batterci per la libertà. Sempre, e comunque in maniera pacifica, la violenza non serve a nulla.

Non è un po’ tardi per la mediazione?

Sono sempre stata a favore del confronto e del dialogo. Sono in politica da diversi decenni, in Parlamento sono rimasta 25 anni, per sette legislature, senza mai perdere un’elezione, ho lasciato nel 2016. Credo nel compromesso, purtroppo il presidente Xi Jinping non è dello stesso avviso. Per questo sta soffocando così duramente Hong Kong.

Come reagire?

Speriamo che la comunità internazionale, che Joe Biden porti la Cina ad onorare gli accordi sino-britannici del 1984, a garantire ad Hong Kong uno stile di vita pacifico e lo stato di diritto. Se resteranno a guardare, il governo cinese si convincerà che potrà fare qualsiasi cosa.

Cosa può fare la comunità internazionale?

Quello che riterrà più efficace, ci affidiamo alla saggezza dei singoli Stati. Mi rendo conto che devono rispondere al loro interesse nazionale, alle esigenze della loro gente. Spero che i Paesi che si ergono a difensori dei diritti umani vogliano farlo anche per Hong Kong. E ricordo che la nostra è una città internazionale, con milioni di abitanti di ogni nazionalità, migliaia di imprese e banche estere. Un ambiente caotico è contro l’interesse di tutti.

Quanto tempo resta prima che il sistema giudiziario finisca sotto il giogo di Pechino?

Chi sa quanto vorranno accelerare? Un recente report inviato dal governo inglese al Parlamento fa una tara molto severa. Due giudici della Corte suprema inglese che siedono nella Corte di Hong Kong stanno valutando di ritirarsi perché non esiste più imparzialità di giudizio, c’è molta tensione. Il destino di Hong Kong, ora, dipende dal futuro dei rapporti fra Cina e Stati Uniti. Victoria Harbour si trova al centro dello scontro fra superpotenze.

A Biden cosa chiedete?

Non pretendo di essere un diplomatico, né voglio dire cose che violerebbero la legge sulla Sicurezza nazionale, potrei essere arrestata. Invito solo la comunità internazionale, incluso il governo italiano, ad alzare la voce per Hong Kong, a supportare la nostra lotta per i diritti umani. Non chiediamo indipendenza, né una rivoluzione. Solo che le promesse fatte siano mantenute.

Nel 2047 Hong Kong sarebbe comunque tornata alla Cina continentale. Qualcuno in Occidente si chiede: a cosa serve lottare ora se non si può cambiare il corso degli eventi?

Rispondo sempre a questa domanda con una massima: “Nel lungo periodo, saremo tutti morti. Perché allora non morire ora?”. Ventitré anni sono molto tempo. Non sappiamo nemmeno se il Partito comunista cinese (Pcc) durerà tanto. La dichiarazione sino-britannica ha una durata di cinquant’anni, può essere prolungata di altri cinquanta. L’ex premier inglese Harold Wilson diceva che “una settimana è molto tempo in politica”. Figuriamoci cinquant’anni.

(Foto: Wikimedia, 湯惠芸)


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