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La sinistra, la Chiesa e l’Europa. La Polonia raccontata da Maciej Gdula

Di Giulia Koss

Tutti gli “incendi” che stanno ustionando non solo il dibattito polacco, ma anche e soprattutto quello europeo: proteste sociali, il collasso dello stato di diritto, il ruolo della Chiesa cattolica e il veto sfoderato da Orbán e Kaczyńsk all’Europa. Intervista a Maciej Gdula, sociologo e deputato eletto nelle file della sinistra polacca

La Polonia è stata per diversi secoli terra di conquista, terra di nessuno e terra di mezzo. Oggi, nella patria di Chopin e di Roman Polanski accade di tutto: finestre incendiate dai nazionalisti per “celebrare” l’indipendenza polacca, guanti di velluto lanciati contro Bruxelles, chiese occupate dalle donne che rivendicano il diritto all’aborto, con un fulmine rosso disegnato sulla guancia, richiamo inconfutabile all’Armia Krajowa e alla resistenza contro “la mano dell’oppressione”. I moti che scuotono la “Matka Polka”, condannata all’eterna resurrezione come profetizzato dalla penna di Andrzej Towiański, evocano le insurrezioni avvenute nel famigerato 1848.

Insieme al professore Maciej Gdula, sociologo e deputato eletto nelle file della sinistra polacca, abbiamo affrontato gli “incendi” tematici che stanno ustionando non solo il dibattito polacco, ma anche e soprattutto quello europeo: proteste sociali, il collasso dello stato di diritto, il ruolo controverso della Chiesa cattolica e i recenti scandali che hanno agitato i corridoi del Vaticano, il veto sfoderato da Orbán e Kaczyński, l’ipotesi di una redistribuzione dei migranti che coinvolga anche gli Stati euro-scettici, i cambiamenti che hanno stravolto il progetto originario del gruppo di Visegrád, il ruolo del Partito Socialista Europeo e il rischio di una Polexit.

Professor Gdula, le proteste scaturite attorno allo “Strajk Kobiet”, contro la sentenza del Tribunale Costituzionale che ha vietato l’aborto anche in caso di gravi malformazioni del feto, hanno coinvolto: femministe (persino la figlia del presidente Duda ha deciso di presenziare alle manifestazioni in atto), studenti, professionisti, liberali, radicali, socialisti, ambientalisti. Le rivendicazioni delle donne polacche hanno scalfito la coscienza collettiva di una parte sociale che non si riconosce negli indirizzi politici del governo. Tuttavia, “Polityka w Sieci” ha calcolato che dal 26 ottobre “l’appeal” dello sciopero delle donne ha subito un calo del 97% sui social. Ritiene che “Lewica”, la coalizione progressista con la quale è stato eletto nel 2019, sia in grado di trattenere queste risorse umane e di “attivarle” attorno ad un’agenda politica?

Il recente studio sul sostegno alla/o Strajk Kobiet ha rivelato che il 70% dei polacchi è favorevole alle proteste. Questo esito è stato pressoché uguale nelle grandi città e nella provincia. Dimostra che, nonostante il minor numero di persone in strada ad un mese dallo scatenarsi delle marce, la simpatia popolare per i manifestanti è inequivocabile. L’altro fattore è l’impatto che questa realtà ha prodotto sulla scena politica. Tanto per cominciare, il sostegno a “Diritto e Giustizia” sta diminuendo. Il partito di Kaczyński ha perso un quarto dei suoi elettori. Per il momento, il partito di governo si aggira attorno al 30%, provocando due processi. Primo: i partiti di opposizione – i liberali (Piattaforma civica), la sinistra (Lewica) e tutti i partiti di Hołownia (Polska 2050) – stanno lentamente guadagnando consenso; il secondo: c’è un numero crescente di persone che non sono sicure quale partito vogliano votare (fino al 15% dei cittadini dichiara la partecipazione alle elezioni). Ciò comporterà imminenti lotte sulla scena politica per convincere gli indecisi. Il conflitto con l’Ue sul meccanismo di sostegno allo stato di diritto è – a parte la sua posta in gioco internazionale – lo sforzo di stabilire un conflitto interno duro, profondo e divisivo sul senso di sovranità nazionale. In questa diatriba, le forze di opposizione mobiliteranno le persone sulla base dei benefici derivanti dalla partecipazione all’Ue, facendo leva sulla base valoriale che accomuna gli abitanti del Vecchio continente. Qui “Lewica” ha una posizione chiara e riconoscibile. La sinistra ha sempre promosso una connessione politica tra Polonia e Ue, consolidando la nostra partecipazione al progetto europeo non solo in termini di interessi economici e modernizzazione, ma anche attraverso il rispetto e la tutela di valori condivisi. Ritengo che non sia impossibile convincere i polacchi a sostenere questa nostra idea di “sinistra europea”, una forza politica che combatte non solo per mantenere la Polonia nell’Ue, ma anche per renderla un attore determinante in un processo continuo di reinvenzione dell’Unione per affrontare le sfide contemporanee.

Suo padre è stato vice-ministro degli Affari Interni durante la Repubblica Popolare Polacca, lei è un sociologo specializzato in teoria politica, la sua storia è ben definita, così come la sua forma mentis e il suo percorso professionale e pubblico. Secondo lei, l’ostinazione dei democratici polacchi nel rincorrere i diritti civili, forse a discapito dei bisogni sociali, può comportare un divario tra voi e i protagonisti della Polonia profonda? Dopotutto, il Pis di Jarosław Kaczyński detiene una notevole egemonia elettorale/culturale nelle zone rurali del Paese. Perché la classe operaia, i disoccupati, gli esclusi dal sistema del welfare dovrebbero votare per voi?

Non definirei l’impegno per i diritti in materia di aborto, le rivendicazioni della comunità Lgbt come un’ossessione dello Stato di diritto o un capriccio elitario. Negli ultimi 15 anni, anche la Polonia ha ospitato innumerevoli dibattiti legati alle nuove esigenze culturali ed economiche. Penso che il modo migliore per risolvere la questione sia quello di rivelare le disuguaglianze materiali che si celano dietro quei fenomeni percepiti come istanze e valori individuali.

Prendiamo il diritto all’aborto. Se sei ricco, istruito e provieni da una grande città non hai difficoltà ad accedere a tale diritto, diversamente da coloro meno istruiti, poveri e che abitano le zone rurali. Nel primo caso, troverai più facilmente informazioni su come interrompere la gravidanza, hai soldi per andare all’estero, ecc. Insomma, la lotta per il diritto all’aborto è la lotta contro le disuguaglianze e gli standard di salute pubblica. La sinistra in Polonia ha un programma che pone l’accento sulla sicurezza sociale, i servizi pubblici e l’equità. Il Pis si è concentrato sui trasferimenti diretti di denaro alle famiglie e sulla costruzione di comunità fondate sull’esclusione e sul dominio (tenere i rifugiati fuori dal Paese, creare zone libere da Lgbt, “manipolare” le donne introducendo il divieto quasi totale dell’aborto). Noi, proponiamo un’idea diversa di società, edificata sulla solidarietà, la cooperazione e priva dell’istinto di prevaricazione nei confronti dei più deboli. E penso che sia una visione del mondo tutt’altro che elitaria.

Lei è l’autore di “Nowy Autorytaryzm”, una diagnosi sulle cause della vittoria di Pis nel 2015. Senza dubbio, la Chiesa polacca esercita una considerevole influenza sull’azione di governo e sull’elettorato del partito di maggioranza. Ricordiamo le imbarazzanti proposte dell’arcivescovo di Cracovia, Marek Jedraszeki, riguardo l’istituzione di “terapie di conversione” per correggere l’orientamento sessuale dei gay; ricordiamo i vari scandali legati all’abuso di minori all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Cito il defunto Henryk Roman Gulbinowicz, al quale il Vaticano aveva vietato di esercitare il suo ministero a causa di un’indagine su presunti abusi sessuali. Oggi, attraverso la decisione dell’arcivescovo Gadecki (prontamente divulgata dalla tv polacca TVN24) riguardo la necessità di una commissione di inchiesta, emerge il caso Stanisław Dziwisz; cardinale e segretario personale di papa Giovanni Paolo II, reo di aver insabbiato, eluso denunce di pedofilia ai vari livelli nella Chiesa: dall’affare Theodore McCarrick a quello della Legione di Cristo. Nonostante ciò, in Polonia, il cattolicesimo resta una fede politica, una scelta di campo, una spiritualità militante. Come dimostra l’iniziativa “Rosario sulle frontiere” del 2017, in cui i fedeli di ventidue diocesi polacche si riunirono lungo i 3000 km di confini del Paese per pregare contro “la secolarizzazione della società polacca e la perdita dell’identità cristiana del Vecchio continente”, affinché “l’Europa resti Europa”, come affermato da Marek Jędraszewski. Dunque, in che modo il Pis utilizza il sentimento religioso per stabilizzare quello che lei definisce “nuovo autoritarismo”? E come la sinistra polacca deve fare i conti con una realtà così importante quale il rapporto tra polacchi e Chiesa cattolica?

La posizione della chiesa polacca deve essere analizzata in una prospettiva storica di lungo periodo. E non attaccherò con la storiella del ‘fa parte della nostra identità nazionale’. Sarebbe troppo semplice! Oltretutto, questo è il biglietto da visita con cui la Chiesa legittima il proprio ruolo nella società polacca. La Chiesa è un’istituzione che lotta come tutte le altre per l’egemonia. Vi sono fasi storiche in cui è stata capace di far combaciare i suoi interessi con le esigenze popolari, e periodi in cui non è riuscita a farlo. Uno dei miei antenati era tra i leader della rivolta popolare del XIX secolo (rabacja) in Galizia. Entrò all’interno di un edificio ecclesiastico a dorso di un cavallo gridando ‘Dio non esiste’. Penso che sia un esempio abbastanza convincente che la chiesa avesse problemi a stabilire la sua egemonia a metà del XIX secolo in Galizia.

Quando guardiamo alla Polonia contemporanea, ci rendiamo conto che la tela egemonica della chiesa, tessuta 40 anni fa, sta per essere distrutta. Negli anni ’80 riuscì a svolgere il ruolo di mediatore tra opposizione e il partito unico. Da quel momento in poi, è stata percepita come l’istituzione che assicura la trasformazione dell’ordine dittatoriale in un sistema democratico. L’introduzione della religione nelle scuole pubbliche, la legge antiabortiva, il concordato e gli enormi benefici materiali sono stati interpretati come parte integrante della “normalizzazione” e della via del ritorno all’ordine naturale. Ovviamente, il ruolo della chiesa è stato sempre contestato e criticato, ma tali voci erano minoritarie e venivano recepite con sospetto. Oggi, la chiesa è percepita come una realtà strettamente connessa con l’establishment corrotto. Il suo sostegno a un partito politico di destra la isola da importanti fazioni di fedeli e favorisce il processo di secolarizzazione. I giovani che insegnano religione a scuola giudicano l’atteggiamento della chiesa, nei confronti delle persone Lgbt e della sessualità, opprimente e barbaro. Gli scandali portati alla luce, riguardo l’occultamento della pedofilia, rivelano il trattamento speciale che lo Stato ha riservato e continua a riservare per la Chiesa. Una volta sommati questi fattori, possiamo comprendere l’ultimo studio che mostra come 1/3 dei polacchi è d’accordo con la frase ‘la chiesa gioca un ruolo positivo nella nostra società’,  1/3 è neutrale e 1/3 afferma che la chiesa polacca gioca un ruolo negativo.

La sinistra rappresenta coloro che affermano che la chiesa dovrebbe essere privata dei privilegi e separata dallo Stato. Questo sembrava essere molto radicale anche 15 anni fa, ma oggi è l’unica soluzione ragionevole da attuare per ‘regolarizzare’ i rapporti tra la Polonia e la sua istituzione più ingombrante.

Il 5 novembre il Parlamento e il Consiglio Europeo avevano raggiunto l’accordo per un meccanismo che vincoli l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto, e che si sarebbe applicato anche ai finanziamenti del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e del NextGenerationEU. Attraverso questo meccanismo la Commissione può sospendere i pagamenti a uno Stato che viola i valori fondamentali dell’Unione. Nel Coreper era necessaria una maggioranza qualificata per approvare tale regolamento, che sarà sottoposto, in seconda battuta, al voto del Parlamento Europeo. A questo punto, messi con le spalle al muro, Polonia e Ungheria hanno alzato la posta. Viktor Orbán e Jarosław Kaczyński, in teoria vice-presidente ma di fatto leader polacco, hanno dato l’ordine di bloccare l’intero bilancio europeo, che invece necessita dell’unanimità per il via libera. Tale scelta si ripercuote su GenerationEU, il piano che deve portare in tempi brevi 750 miliardi di euro nelle casse degli Stati membri per far fronte alla pandemia. Il capitolo del bilancio riservato alle “risorse proprie” è condizione necessaria perché la Commissione possa intercettare sui mercati il denaro da girare agli Stati. In poche parole: senza accordo complessivo sul Qfp, niente risorse proprie; senza risorse proprie, niente Next GenerationEU.

Ma insomma… fate esplodere queste contraddizioni: la Polonia è uno dei partner orientali più influenti all’interno dell’Unione europea, usufruisce dello scudo Nato, ma non intende sposare il processo di democratizzazione occidentale per “evitare di perdere la propria sovranità”. Lei cosa pensa di questo braccio di ferro che si è innescato, poi risolto con un accordo, e quali sono le ripercussioni sulla politica interna della Polonia?

In primo luogo, vedo il conflitto relativo al rispetto dello Stato di diritto e del bilancio come uno strumento per risolvere i problemi della stabilità del potere di Kaczyński. A parte la perdita di elettori e la forte protesta sociale per l’aborto, deve affrontare infinite liti all’interno del suo partito e con i suoi alleati. Si sforza di mantenere l’immagine del leader che tiene tutti i fili e che stabilisce l’indirizzo politico del partito e della nazione. Per lui difendere la sovranità nazionale equivale a ristabilire la propria popolarità, a rafforzare la sua leadership. Speravo nel compromesso raggiunto con i partner dell’Ue. A parte questo, credo che l’eredità del conflitto in corso durerà e sarà molto pericoloso. Nei thriller capita spesso che il protagonista torni a casa e, noi spettatori, avvertiamo un’enorme tensione perché sappiamo che l’assassino si nasconde da qualche parte, in uno spazio che una volta era familiare e sicuro. Lo stesso vale per l’euroscetticismo nella sfera pubblica polacca. Un tempo era caratteristico per i margini assoluti. Ora è entrato nella politica mainstream e la visione di Polexit non sembra così improbabile come nemmeno un mese fa. Bisogna ricordare che la brexit è avvenuta dopo che David Cameron aveva appena cercato di rafforzare la sua posizione nel partito e nel mercato politico nazionale. Quando svegli i demoni si crede di avere il controllo della situazione e le cose possono semplicemente andare male e fuori controllo.

Polonia e Ungheria si oppongono a qualsiasi ipotesi di redistribuzione dei migranti in Europa. Qual è la vostra posizione in merito?

La nostra posizione è molto chiara. La Polonia dovrebbe accogliere i rifugiati nell’Unione Europea. C’è una crisi delle dimensioni umanitarie e politiche connesse al fenomeno migratorio. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio disastro umanitario in Medio Oriente e non possiamo semplicemente chiudere gli occhi. Le vittime della guerra vanno aiutate. La seconda cosa è la realtà politica. L’Ue non può essere destabilizzata da questo tipo di crisi e di minacce. Deve essere in grado di garantire il soccorso per le persone che ne hanno bisogno e di mettere in sicurezza i suoi confini (è un prerequisito per la stabilizzazione e la solidarietà tra i popoli).

Il gruppo di Visegrád non esiste più e forse non è mai esistito realmente. È necessario un breve excursus prima di giungere al bandolo della matassa. A diversificare gli interessi dei quattro di Visegrád non sono solo le divergenze politico-territoriali, ma le relative scelte di campo. Abbiamo i membri euro-pratici (Repubblica Ceca e Slovacchia) e quelli euro-scettici (Polonia e Ungheria), protagonisti di equilibri totalmente diversi quando si tratta di scegliere tra Ovest ed Est, tra Stati Uniti e il duo Russia-Cina. Cambiano gli interlocutori e i legami geopolitici. Infatti, nonostante il suo euroscetticismo la Polonia è un fedele alleato degli Usa (ricordiamo che è in progetto la base “Fort Trump”), così come la Repubblica Ceca, mentre a difesa della Russia, contro le sanzioni inferte dal 2014, vi è l’Ungheria. Budapest, inoltre, ospita il più grande centro logistico di Huawei fuori dalla Cina e la Slovacchia si considera la nazione più euro-asiatica del V4. La Polonia vuole essere accolta dalla famiglia occidentale. Lo dimostra la scelta del ministero dell’Istruzione di aver reso obbligatorio il latino nei programmi di scuola superiore. Voi sentite di appartenere alla cultura greco-romana, fondamento materiale della civiltà occidentale e della storia polacca. A breve l’Europa sarà chiamata, ancora una volta, a scegliere una sfera d’influenza e contemporaneamente, come anticipato da Emmanuel Macron in una delle sue ultime interviste, dovrà costruire la propria “autonomia” politica, militare ed economica. Cosa sceglierà la Polonia e come l’Europa dovrebbe agire su questo nuovo scacchiere internazionale?

È divertente che sia lei a porre una domanda così importante, quasi assente nei dibattiti polacchi. Le enormi differenze tra Polonia e Ungheria si celano, ora, dietro l’alleanza in nome dell’euroscetticismo, contro il meccanismo che garantisce lo stato di diritto e il cosiddetto tandem franco-germanico in Europa. La strategia ungherese versus l’Ue è in totale contraddizione con gli interessi polacchi. Essa si basa sulla cooperazione con gli imperi esterni: Russia e Cina. Quando guardiamo la mappa possiamo capire quali sono le reali ragioni di questo atteggiamento. L’Ungheria non ha alcun confine con la Russia, solo un breve confine con l’Ucraina e geograficamente è ben radicata in Europa. La Polonia e gli Stati baltici si trovano in una situazione completamente diversa. Dovremmo evitare l’ostilità verso la Russia, ma non possiamo ignorare quello che è successo in Crimea e nell’Ucraina orientale. Dovremmo sostenere l’indipendenza dei Paesi e delle società della regione, non la violenza e la dittatura. Una Comunità europea forte e unita che sostenga il diritto all’autodeterminazione dei suoi vicini dovrebbe essere la nostra risposta per un mondo multipolare. Sicuramente la cooperazione unilaterale con gli imperi esterni, che è la strategia ungherese, non lo è.

Nel 2023 i polacchi torneranno alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Ci sono dei cambiamenti all’interno della maggioranza di “Diritto e Giustizia”? Il fronte socialdemocratico si presenterà unito? Quali proposte caratterizzeranno il vostro programma politico? Qual è il ruolo dei socialisti polacchi nella vita pubblica del Paese?

Una cosa è certa: questi tre anni saranno più difficili per la destra al governo che per l’opposizione. La destra è divisa da conflitti interni. Kaczyński lotta per mantenere il suo potere. Deve tenere a bada i pretendenti che combattono con lui e introdurre dei provvedimenti di sequestro provvisorio tra i pretendenti che combattono tra di loro. È difficile organizzare un governo funzionale e di successo in queste condizioni, cosa che risulta ancora più chiaro durante la pandemia; da parte dell’opposizione è molto importante in questo momento dare speranza alla gente e dare un senso a questi tre anni prima delle elezioni. La sinistra, come avrà notato, è attiva nell’iniziativa di raccolta firme a sostegno del disegno di legge sulla liberalizzazione dell’aborto. Dobbiamo organizzare e definire come sarà la Polonia dopo “Diritto e Giustizia”. Sono sicuro che la sinistra arriverà unita all’appuntamento elettorale e sarà pronta per prendere il potere.

Robert Biedron è l’eurodeputato, nonché front-man, di “Wiosna”, una vera e propria primavera politica esplosa il 3 febbraio 2019 in vista delle elezioni europee, con lo scopo di rompere il duopolio Pis-Piattaforma Civica. Alle elezioni europee, alle quali lei ha partecipato come candidato di punta, Wiosna ottiene 826.975 voti, pari al 6,06%, tradotti successivamente in tre seggi. Cosa pretende Wiosna dall’Europa? Come interpreta i legami con l’avversario e (allo stesso tempo) con il partner di sempre… la Germania? Il Partito Socialista Europeo, così attivo sui social e così impercettibile nella vita reale, può essere una base utile per le battaglie dei socialisti polacchi?

Wiosna è stato il primo partito sulla scena politica polacca a dire che i diritti delle minoranze, la trasformazione ecologica, l’alleanza europea in politica estera e nella difesa non sono un’imitazione dei modelli occidentali, ma soluzioni ai problemi interni. Abbiamo l’oppressione Lgbt, stiamo morendo per l’aria inquinata, stiamo affrontando i deficit di sicurezza in prossimità dei confini dell’Ue. Ci sono soluzioni a questi problemi e l’Ue offre il miglior supporto possibile. Aderiamo convintamente a questa prospettiva. La cooperazione nell’Ue durante la pandemia – in particolare il nuovo fondo per la ripresa – è una prova evidente che l’Europa dà una risposta alle sfide contemporanee quando agisce con solidarietà e quando i partner degli Stati nazionali collaborano. Tutte le azioni che minano tali sforzi sono oltraggiose e malefiche. I nostri partner in Europa dovrebbero tener conto del fatto che in Polonia le correnti che sostengono un’ulteriore integrazione sono più forti di quanto possa sembrare dall’esterno. È molto importante, pur introducendo alcune restrizioni e soluzioni da parte dell’Ue, tener conto del fatto che la maggioranza dei polacchi vede il proprio posto all’interno dell’Unione.

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