In epoca di Statuto albertino si parlava di “rotazioni” ministeriali per cui possiamo davvero pensare che il termine “rimpasto” sia da attribuire a Cencelli e al mondo della democrazia cristiana. L’analisi di Alfonso Celotto
Rimpasto è un termine che sa di panificazione, di mescolamento di vari ingredienti. Proprio in questa accezione viene usata in diritto costituzionale per indicare una modifica della composizione del governo, cioè un nuovo “impasto” all’interno dei partiti per rinsaldare un governo un po’ fragile. Ovviamente di “rimpasto” non si parla in Costituzione, ma è un termine che nasce dalla prassi parlamentare e probabilmente dal manuale Cencelli, cioè da quelle regole fondamentali ideate negli anni ‘70 da Massimiliano Cencelli, giovane assistente dell’onorevole democristiano Sarti. Infatti, in epoca di Statuto albertino si parlava di “rotazioni” ministeriali per cui possiamo davvero pensare che il termine “rimpasto” sia da attribuire a Cencelli e al mondo della democrazia cristiana.
Come sappiamo, nella forma di governo parlamentare, come quella italiana, il popolo elegge le Camere ed è il parlamento ad “avallare” la formazione del governo mediante la fiducia.
I governi, quindi, sono inevitabilmente di coalizione, per cui mettono assieme diversi partiti e correnti. Con tutte le instabilità interne che ne discendono. E con la necessaria applicazione del Manuale Cencelli, cioè della giusta distribuzione di cariche e poltrone, per evitare sussulti e difficoltà.
In Italia è sempre stato così. Nei 74 anni di Repubblica abbiamo avuto 66 governi e molte crisi. Spesso extra-parlamentari, cioè senza un voto di sfiducia del parlamento. Infatti soltanto Romano Prodi è stato sfiduciato in Parlamento, sia nel 1996, sia nel 2008.
Tutte le altre crisi sono state gestite nelle aule dei palazzi, portando eventualmente alle dimissioni del Presidente del Consiglio.
Ma spesso per prevenire una crisi di governo si utilizza proprio il rimpasto, cioè la sostituzione o la aggiunta di ministri e sottosegretari, per bilanciare meglio le diverse forze della coalizione.
Gli ultimi rimpasti che ricordiamo sono quelli del IV Governo Berlusconi nel maggio 2011, che inserì nel governo 9 nuovi sottosegretari; e quello più robusto di Renzi a gennaio 2016 con 12 nuovi incarichi (1 ministro, 4 viceministri e 7 sottosegretari).
A seconda della ampiezza del rimpasto il Presidente della Repubblica sceglie se inviare il governo alle camere, cioè se richiedere una nuova fiducia, per avere il necessario avallo parlamentare al nuovo esecutivo.
Sempre in piena applicazione del Manuale Cencelli, che nelle crisi di governo vale più della stessa Costituzione.