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Scollamento, così Crimi, Berlusconi e Zingaretti provano a ricucire. La bussola di Ocone

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Le forze centripete, non solo nelle coalizioni di maggioranza e opposizione, ma anche all’interno dei singoli partiti, sono sempre più evidenti e non hanno timore ad appalesarsi. In qualche modo sono le leadership ad essere contestate e, più o meno velatamente, “minacciate”. La bussola di Corrado Ocone

Scollamento. È questa l’immagine, anche se per il momento non ancora la sostanza effettuale, che dà il sistema politico italiano. Le forze centripete, non solo nelle coalizioni di maggioranza e opposizione, ma anche all’interno dei singoli partiti, sono sempre più evidenti e non hanno timore ad appalesarsi. In qualche modo sono le leadership ad essere contestate e, più o meno velatamente, “minacciate”. In modo che i prossimi passaggi in Parlamento fanno tremare il governo, la cui maggioranza al Senato è davvero risicata. Essendo in un contesto spazio-temporale, l’Italia del 2020, in cui, fra i rappresentanti del popolo, la razionalità utilitaristica o strumentale prevale ampiamente su quella ideale, probabilmente non si arriverà a sfiduciare l’esecutivo, che viene tenuto su brandendo verso i deputati, in prima istanza da parte del Presidente della Repubblica, l’arma dello scioglimento delle Camere e del voto anticipato. Dovrebbe bastare, ma, se la situazione in atto è quello dello scollamento, che genera nel governo immobilismi e rinvii dei dossier più importanti, come potrà andare avanti l’Italia in un anno, il 2021, per lei cruciale? Un anno di decisioni rapide, efficaci, da prendere sotto l’occhio vigile di un’arcigna Europa, che in sostanza ci tutela per ora anche sui mercati.

Fino a ieri, le forze che più sembravano in difficoltà nel contenere le divisioni e i malumori interni erano Forza Italia, da una parte, e i Cinque Stelle, dall’altra. Due (improvvide o calcolate?) mosse dei loro leader (quella di Silvio Berlusconi davvero spiazzante) avevano fatto sciogliere il velo di ipocrisia che teneva le due truppe formalmente unite. Il casus belli, ovviamente, è stato, nell’un caso e nell’altro, il Mes, e nella fattispecie le modifiche al Fondo salva-Stati nella sua versione extra-sanitaria, che l’Italia dovrebbe portare in dote a Bruxelles già nel Consiglio europeo del 10 dicembre. Vito Crimi, fortemente indebolito dagli Stati Generali del suo Movimento, aveva dato per sicuro, domenica scorsa, il voto favorevole sulla riforma dei pentastellati, che pur restano intransigenti (almeno a parole) sull’utilizzo da parte dell’Italia delle risorse finanziarie del Mes sanitario. Non lo avesse mai fatto! Fra i parlamentari grillini è scoppiato il putiferio e ben 15 senatori e 39 deputati hanno messo nero su bianco la loro contrarietà. Tanto che sembra che Luigi Di Maio, che resta il vero capo politico del Movimento, abbia passato la giornata di ieri al telefono con ognuno dei “dissidenti” per farli tornare a più miti consigli. Proprio mentre quattro europarlamentari abbandonavano il gruppo a Strasburgo, unendosi ai verdi, usando parole forti contro il Movimento “traditore” degli ideali “anti-Casta” delle origini.

Quanto a Berlusconi, lunedì, come è noto, ha anche lui dato come ufficiale per Forza Italia il doppio binario: no (a sorpresa) alla riforma del Mes “salva banche” ma sì ai soldi del Mes sanitario. Lasciando stare la questione del perché il Cavaliere si sia mosso in questa direzione, mettendo a repentaglio fra l’altro la sua immagine di europeista a Bruxelles e fra i popolari di Angela Merkel, tema che d’altronde ha già esercitato una copiosa messe di commentatori e analisti politici e parapolitici, il fatto è che oggi Berlusconi non ha più la presa di un tempo sul “suo” partito. Il quale è spaccato fra “governisti”, “sovranisti” e fedeli al Capo: vale a dire fra chi vorrebbe puntellare il governo e “aprirsi” ad una più “europea” “maggioranza Ursula”; chi cerca invece un più stretto rapporto con la Lega di Matteo Salvini (verso la quale qualcuno è già pronto a traghettarsi); e da ultimo chi, per convinzione o fedeltà, asseconda fino in fondo l’“ambiguità” del vecchio leader. Anche in questo caso, affidati ai suoi “luogotenenti” romani, è subito iniziato un lavoro di “ricucitura” che non si sa dove approderà.

Ma la sorpresa più grande è arrivata ieri dal Partito più europeista di tutti, quello democratico, anche qui sotto forma di una missiva di un consistente numero di parlamentari (40 deputarti e 25 senatori per la precisione). Indirizzata ai loro capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, la lettera, immemore delle vecchie abitudini della casa (leggi: “centralismo democratico”), è sostanzialmente critica verso il segretario del Partito e la delegazione al governo. Ad essi si imputa una linea poco morbida nella gestione governativa dell’emergenza, in particolare nell’elaborazione delle rigide misure previste per le festività natalizie. Anche se apparentemente meno dirompente dal punto di vista della tenuta in Parlamento del governo, l’iniziativa assume un valore politico non indifferente.

Dimostra, sostanzialmente, tre cose: che l’insofferenza verso le politiche di Giuseppe Conte ha raggiunto il livello di guardia anche nel Partito che si è fatto garante presso l’establishment, anche e soprattutto europeo, del suo governo; che l’insofferenza è trasversale alle diverse componenti del Partito; che esse creano, di fatto, una convergenza con le critiche che Matteo Renzi da tempo manifesta in più occasioni contro il presidente del Consiglio.


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