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Strette natalizie, la politica faccia la sua parte (vedi Merkel). Parla Magatti

Il governo, le nuove (paventate) restrizioni natalizie e il ruolo dell’opposizione. Per ricucire il tessuto sociale occorrerà cogliere le opportunità in arrivo dall’Europa. L’analisi del docente e sociologo

L’ipotesi di ulteriori restrizioni per le festività e le pressioni del Comitato Tecnico Scientifico sul governo fanno discutere. Tutto sommato però “le polemiche e il dibattito, ancorché acceso, sono sani”. La lettura di Mauro Magatti, sociologo ed economista (approdato nelle librerie recentemente con il saggio a quattro mani scritto con Chiara Giaccardi Nella fine è l’inizio, Il Mulino) parte dall’assunto che “la scienza è uno strumento fondamentale, e lo abbiamo capito in questi mesi, ma poi è demandato alla politica il dovere di decidere”. Anche perché immaginare un consenso generalizzato a misure di questo tipo “è abbastanza improbabile. Anche perché ognuno valuta le problematiche sulla base della propria sensibilità e degli interessi che rappresentano”.

Detto questo però, secondo il docente universitario, occorre porre due limiti. Da un lato “la discussione e il dibattito devono essere sani”, d’altro canto “essendo l’emergenza pandemica una problematica che riguarda la dimensione collettiva, è necessario che, una volta presa una decisione, le persone la rispettino”. Quindi il punto di vista del Cts va sempre calibrato su una dimensione che non sia “strettamente legata all’ambito medico”.

Ed è in questo frangente che si articola il ruolo della politica. L’esempio che cita Magatti è quello di Angela Merkel. “È in questi momenti che si misura l’autorevolezza delle istituzioni – analizza il sociologo – ma è evidente che la politica tedesca gode di una credibilità che quella italiana non ha più da tempo”. Il problema quindi affonda radici molto più lontane. “Le istituzioni italiane – riprende – da molto tempo sono schiave di una continua ricerca di consenso giornaliero. Sono ondivaghe, ed è anche per questo che il debito pubblico in questi anni è cresciuto in maniera esponenziale”.

Pur non essendo particolarmente tenero nel giudizio su Giuseppe Conte, Magatti sostiene che non si debba addossare la colpa della sfiducia generale nella politica all’Esecutivo guidato da Conte. Il dato di certezza è che “le persone, rispetto a questa primavera, fanno fatica ad accettare le restrizioni. Questo anche per via del fatto che non si veda ancora la luce e l’estenuante durata di questa pandemia sta scavando un tunnel di ansia e preoccupazione generale fra la gente”.

In più, la percezione dell’uomo della strada è che “in Italia, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sanitario si sarebbe potuto fare di più”. A proposito di credibilità delle istituzioni, a più riprese si è discusso sul fatto che Dpcm dopo Dpcm, il Parlamento abbia assunto un ruolo sempre più marginale.

Anche su questo però Magatti chiarisce subito che “la situazione emergenziale ha solamente acuito una tendenza all’abuso dello strumento del decreto, già in voga ben prima della pandemia”. In più, c’è un altro elemento che va considerato. “Questa legislatura è nata a seguito del trionfo di una forza politica a grande traino populista (i 5 Stelle, ndr) che ha fatto dell’anti parlamentarismo la sua battaglia. Una battaglia che poi si è concretizzata con l’esito referendario che ha sancito la diminuzione del numero dei parlamentari”.

E in tutto questo quadro, l’opposizione che ruolo ha avuto? “L’opposizione ha semplicemente lucrato sulla sventura. I rappresentanti dei partiti all’opposizione – analizza Magatti – si sono limitati ad elencare una serie di misure che il governo secondo loro avrebbe dovuto mettere in campo, senza però avere l’onere delle decisioni”. Il Capo dello Stato ha più volte invitato alla responsabilità, con l’auspicio di ricucire le lacerazioni sociali che la pandemia ha creato o quantomeno acuito. Per farlo, dice il professore, “occorre approfittare della spinta europea. La partita sostanzialmente si giocherà con la nostra capacità o meno di salire sul treno della spinta europea. Il Recovery Fund è una specie di ultima chiamata, rispetto alla nostra capacità di risolvere e aggredire una serie di problemi e portare il Paese alla posizione in cui dovrebbe stare”.

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