Ben vengano maggiori risorse nazionali e comunitarie destinate a nuovi investimenti e incentivi, ma se non cambieranno la volontà, il passo e gli obiettivi degli amministratori e degli imprenditori locali, non vi sarà incentivo che (da solo) potrà consentire di colmare il divario del Sud col Nord. L’analisi di Federico Pirro, Università di Bari, sugli obiettivi del Meridione per il prossimo anno
Il ministro Giuseppe Provenzano ha ribadito in un intervento apparso sul Messaggero che le risorse per la fiscalità di vantaggio riservata alle imprese del Mezzogiorno consentiranno di assicurarla per gli stessi importi sino al 2029, così come saranno oltremodo rilevanti quelle rivenienti dal Recovery Fund destinate all’Italia meridionale.
Intanto, per l’anno accademico 2020-2021 è stata anche allargata la no-tax area per le immatricolazioni negli Atenei del sud. E rispondendo poi a tutti coloro che vorrebbero fosse riservata alle regioni del meridione una quota ben superiore al 34% dei nuovi fondi europei in arrivo, ha affermato con chiarezza che, se pure quella percentuale potrebbe e dovrebbe (anche secondo lui) essere superata, è necessario però presentare progetti di qualità ad elevata redditività per impiegarli, non limitandosi invece – come sinora hanno fatto molti presidenti di Regioni del sud – a pretenderne soltanto “quote” percentualmente elevate e ben superiori a quelle conferibili ad altre aree del Paese.
È un aspetto questo assolutamente decisivo per una buona spesa delle risorse del Recovery Fund, che naturalmente vale per tutta l’Italia e non solo per le regioni a Sud del Lazio, ma che in esse assume una valenza particolare, dal momento che larga parte dei loro amministratori sta coltivando la generosa illusione che con i nuovi fondi rivenienti dall’Europa – che si aggiungeranno peraltro a quelli per le politiche strutturali di coesione stanziati con il bilancio comunitario 2021-2027, di cui viene aumentato il cofinanziamento nazionale, e all’80% del Fondo sviluppo coesione nazionale – si possa colmare finalmente lo storico divario Nord-Sud.
Sul possibile conseguimento di tale ambizioso obiettivo – che avrebbe com’è intuibile una valenza politica epocale – il ministro in realtà per comprensibili ragioni ha glissato, insistendo molto invece sulla necessità che le Regioni del sud e chi le governa si concentrino molto di più sulla redazione e selezione di progetti di investimento realmente meritevoli di essere ammessi al finanziamento – perché capaci di generare effetti moltiplicativi – che non sulla elaborazione di programmi di spesa, spesso clientelare e dispersiva.
A mio avviso Provenzano ha pienamente ragione a sottolineare con forza tale esigenza, anche perché – diciamolo francamente – illudersi che la massa di risorse pur imponente e senza precedenti che arriverà nei prossimi anni nelle regioni meridionali possa drasticamente ridurne (sino a colmarlo) il divario col Nord è del tutto fuori luogo, se non si attiveranno contemporaneamente processi diffusi di rigenerazione profonda della società civile meridionale con una salto di qualità ben visibile nelle capacità di governo e di gestione di istituzioni ed aziende locali.
Le risorse certo sono necessarie, come lo sono in ogni altra area del Paese, ma bisogna saperle impiegare bene, avendo ben presenti obiettivi di interesse generale e l’urgenza di un nuovo e ben più avanzato protagonismo di amministratori e ceti imprenditoriali del Sud.
Giusto per fare alcuni riferimenti specifici, quante amministrazioni comunali, provinciali e regionali del Mezzogiorno perseguono concretamente (al di là cioè delle dichiarazioni programmatiche) obiettivi di sviluppo economico ben definiti, con cronoprogrammi precisi, periodicamente verificati nelle loro scansioni temporali, con strumenti operativi efficaci e apparati di gestione all’altezza delle grandi sfide di questi anni?
Eguale domanda bisognerebbe porre agli imprenditori meridionali: quante loro aziende si pongono realmente obiettivi di crescita solida ma accelerata, fruendo di tutti gli incentivi esistenti, aprendosi a fondi di investimento, impiegando figure manageriali anche a tempo – superando così gestioni familiari spesso obsolete – puntando su mercati esteri, anche con strutture consortili? E quante imprese poi promuovono ricerca applicata o ne godono i risultati, dialogando sistematicamente con Atenei e centri tecnologici pure esistenti nell’Italia meridionale, e innovando così i loro beni e i processi che li producono? E in quanti stabilimenti imprenditori e dirigenti sono pronti alla rivoluzione digitale che ormai si sta diffondendo in tutta l’industria del Centro-Nord? E così come sono cresciuti nell’ultimo ventennio molti gruppi locali di aziende agroalimentari, meccaniche, chimiche, del tac, dell’ict, delle costruzioni, della cartotecnica, della logistica e della nautica da diporto, così come in agricoltura, nella distribuzione, nei servizi e nel turismo – soggetti che ormai in molti casi competono nel mondo – perché tali fenomeni di eccellenza non hanno ancora riguardato la parte tuttora maggioritaria dell’imprenditoria meridionale? E nelle diverse supply chain delle grandi industrie presenti in gran numero nel Mezzogiorno, quante Pmi hanno compiuto il salto di qualità diventando subfornitori di standing elevato degli uffici acquisti di quelle società, partecipando con proprie strutture di progettazione alla messa a punto di interi segmenti produttivi dei loro committenti? E quante imprese del sud possono vantare forme avanzate di controllo di gestione e l’impiego di figure specialistiche (i controller) per la sua attuazione? E quante imprese stanno definendo e avviando accurate misure di fuoriuscita, o almeno di contenimento dei suoi effetti, dalla crisi pandemica?
Ora chi scrive – che da anni sta sottolineando su questa testata il rilievo assunto anche a livello nazionale e su mercati esteri da tante imprese meridionali – non intende certo disconoscere in alcun modo quanto sinora è venuto evidenziando in diverse ricerche, compiute peraltro lavorando on the road. Si vuole soltanto sottolineare che se molto è stato fatto da larga parte dell’imprenditoria del Sud sulla strada della crescita – ed è doveroso riconoscerlo – ancora tanto tuttavia resta da fare per raggiungere le performance e le dimensioni medie dell’imprenditoria del Nord. E questo è un compito ormai ineludibile a breve per quella del Sud che pure dispone già da anni di una quantità di incentivi ragguardevole che, comunque, non sarà mai sufficiente da sola a far compiere il necessario salto di qualità, se esso non diventerà un obiettivo prioritario e da raggiungersi tassativamente con gli opportuni adeguamenti organizzativi per tutti, o almeno per la stragrande maggioranza degli operatori dei settori trainanti del Sud.
Insomma, ben vengano maggiori risorse nazionali e comunitarie destinate a nuovi investimenti e incentivi, ma se non cambieranno la volontà, il passo e gli obiettivi degli amministratori e degli imprenditori locali, non vi sarà incentivo che (da solo) potrà consentire di colmare il divario col Nord.