Da un lato l’economia turca sembra destinata a registrare una crescita del Pil dell’1,5% nel 2020, nonostante il Covid. Ma dall’altro le spericolate iperboli geopolitiche di Erdogan potrebbero rimettere tutto in discussione
Quanto cresce il debito turco? Esiste un legame diretto tra policies erdoganiane (dettate dalla “pancia” della geopolitica) e dottrina macro economica che va applicata ai conti pubblici? E ancora, come impatterà su tale scenario la strategia dell’amministrazione Biden (e quella di Berlino) sui dossier che investono direttamente la Turchia come la Via della seta e l’iper invasività di Ankara nel Mediterraneo (su cui Pompeo era stato chiaro)?
CONTI
L’espansione dei prestiti della Turchia ha contribuito sì a rilanciare l’economia, ma a scapito di un’impennata allarmante del debito dei consumatori e delle imprese che si somma alle ingenti spese militari volute da Erdogan. Ad oggi i prestiti toccano quota 487 miliardi di dollari, facendo segnare un 40% in più rispetto a quelli di dodici mesi fa. Nello stesso periodo i prezzi al consumo sono aumentati del 12% .
Certo, da un lato c’è da registrare un dato incoraggiante: l’economia turca, emergente nel panorama del G20, sembra destinata a registrare una crescita del PIL dell’1,5% nel 2020 nonostante l’entità del danno che l’emergenza pandemica ha avuto sull’economia globale. Per avere un’idea di quel numero, è sufficiente rapportarlo a quello della Cina: Pechino crescerà del 2% quest’anno e secondo le stime, crescerà dell’8% nel 2021, poiché gli investimenti guidati dallo Stato per stimolare l’economia si sono estesi anche ai consumatori. Ma le spericolate iperboli di Erdogan dettate dalla geopolitica mediterranea (e anche mediorientale) potrebbero rimettere tutto in discussione, senza contare il capitolo sanzioni Usa e Ue.
PIÙ PRESTITI
Nell’anno che si sta chiudendo il volume dei prestiti è cresciuto del 40%: numeri che sono stati causati dalla scelta del governo di consentire massicciamente l’accesso al credito nel tentativo di contenere la recessione economica causata dalla pandemia. Ma il quadro turco, va considerato, è sempre zavorrato dai dati relativi alle turbolenze economiche del 2018. Certo, in questo modo l’economia subisce un complessivo re-indirizzamento, con un conseguente stimolo nel brevissimo periodo. Di contro non solleva il governo da responsabilità sul medio periodo e sullo stato dei conti in prospettiva.
GEOPOLITICA&FINANZA
Un ruolo significativo lo giocherà la sfera internazionale. Erdogan sul punto sta immaginando di aprire un collegamento diretto con la nuova Casa Bianca, per questa ragione ha dichiarato di voler aprire un nuovo capitolo nelle sue relazioni con l’Ue e gli Stati Uniti nel nuovo anno: “Non vediamo i nostri versatili legami politici, economici e militari come un’alternativa alle nostre relazioni consolidate con gli Stati Uniti – ha osservato sulla stampa turca – Speriamo anche che l’Ue si sbarazzi della cecità strategica che allontana la Turchia”. Ma il dado delle sanzioni sembra tratto: lo scorso 14 dicembre infatti gli Usa hanno imposto sanzioni alla Turchia per l’acquisizione del sistema di difesa missilistico russo S-400, incompatibile con lo status Nato e con gli F-35. Come reagiranno i mercati internazionali a questa decisione? Si rischia un nuovo crollo della lira turca? E con quali riverberi nel sistema finanziario del paese?
IL RUOLO CINESE
Il ruolo cinese in Turchia al momento è di tutor, non solo in partite dove il denaro di Pechino si rivela un jolly per Erdogan, ma anche per quanto attiene alla logistica. Ankara è punto vitale per la Via della Seta, come dimostra il nuovo treno che collega direttamente i due paesi. E ovviamente il governo turco non può accontentarsi solo di inviare qualche containers di merci turche in Cina, ma evidentemente punta ad una partnership integrata e nel medio-lungo periodo che interessi anche le sue finanze.
Non è fantapolitica immaginare possibili reazioni anche per controbilanciare l’invasività cinese nel Mediterraneo e quindi in economie debolissime come quella turca. Da tempo, ad esempio, si vocifera di progetti legati ad aspetti economici, infrastrutturali e informatici compresa la possibilità che la Nato si impegni maggiormente in attività vicino alla periferia della Cina, come Corea del Sud e Mongolia. Nello specifico anche le relazioni di partner esterni all’alleanza, come Emirati Arabi, Egitto e Marocco con altri players come Grecia, Cipro, Israele possono essere lette in questa direzione.
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