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Trump vieta l’import di cotone cinese dallo Xinjiang. Ecco perché

Gli Usa bloccano l’importazione di cotone e prodotti lavorati da una potente organizzazione paramilitare cinese dello Xinjiang. Sale la pressione su Pechino (ma anche su Biden)

L’amministrazione Trump ha annunciato che gli Stati Uniti vieteranno l’importazione di cotone e prodotti lavorati da una potente organizzazione paramilitare cinese, Xinjiang Production and Construction Corps (Xpcc), dopo aver ottenuto informazioni “che indicano l’utilizzato di lavoro forzato”, degli uigiuri (la minoranza musulmana), ha spiegato il dipartimento per la Sicurezza interna in una nota. La decisione ai danni dell’organizzazione, che nel 2015 produceva il 30% del cotone cinese, segue un divieto del dipartimento del Tesoro a luglio su tutte le transazioni in dollari con l’entità commerciale e paramilitare fondata nel 1954 per colonizzare l’estremo Ovest della Cina.

“Mentre le sanzioni del Tesoro prendono di mira la struttura finanziaria di Xpcc, l’azione di mercoledì costringerà le aziende di abbigliamento e altre società che spediscono prodotti di cotone negli Stati Uniti ad eliminare la fibra di cotone prodotta da Xpcc da molte fasi delle loro catene di approvvigionamento”, ha affermato Brenda Smith, assistente esecutivo commissario per il commercio della Customs and Border Protection.

Nel corso di una conferenza stampa, il segretario del dipartimento per la Sicurezza interna Usa, Kenneth Cuccinelli, ha definito il “Made in China” un “segnale di avvertimento”: “I prodotti di cotone a buon mercato che potresti acquistare per la famiglia e gli amici — se provengono dalla Cina — potrebbero essere stati realizzati da schiavi nell’ambito di alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani esistenti oggi nel mondo moderno”. Cuccinelli, come riporta l’Agenzia Nova, ha specificato che è ancora in fase di studio un divieto regionale di importazione del cotone dall’intero Xinjiang. “L’abuso sistemico del lavoro forzato da parte della Cina nella regione dello Xinjiang dovrebbe scandalizzare ogni azienda e consumatore statunitense”, ha affermato il commissario ad interim del Cbp Mark A. Morgan. “Il lavoro forzato è una violazione dei diritti umani che danneggia i lavoratori vulnerabili e introduce la concorrenza sleale nelle catene di approvvigionamento globali”.

Come evidenziato da Axios.com non è la prima mossa degli Stati Uniti sullo Xinjiang: in passato si erano mosse sia l’amministrazione sia il Congresso, a dimostrazione di quanto la tematica sia bipartisan. Ma la misura imposta mercoledì rientra anche nel pacchetto di politiche “dure” che il presidente uscente Donald Trump ha deciso di mettere in piedi per complicare i progetti di cambiare corso al successore Joe Biden. Che ieri, in un’intervista al New York Times, ha annunciato che non toccherà i dazi dell’accordo commerciale di “Fase 1” contro la Cina e ha richiamato gli alleati in Europa e in Asia al fine di “sviluppare una strategica coerente” per affrontare le minacce di Pechino.



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