Per portare progresso e qualità della vita in tutti gli angoli d’Italia non basta la buona volontà dei palazzi. Serve saper ascoltare e capire i territori e le loro imprese. Il convegno organizzato da Fondazione Ugo Bordoni, Anci e Infratel con Todde, Sassano, Bussone e Cefalù
Per fare un Paese digitale non basta lo Stato centrale e la sua buona volontà. Serve il supporto dei territori e dunque delle imprese e delle comunità di cittadini. Per Infratel, la società del ministero dello Sviluppo Economico incaricata di realizzare i piani digitali del governo, si tratta di una scommessa tutta da vincere, visto che l’ambizione trasformare un Paese in perenne affanno digitale in un contesto scattante e attrattivo per chi vuole investire.
Un ragionamento finito direttamente al centro del webinar, moderato dal giornalista di Askanews Gianni Todini, Comunità digitali, tenutosi questa mattina, promosso e organizzato dalla stessa Infratel, dalla Fondazione Ugo Bordoni e dall’Anci. D’altronde, presto o tardi, il Paese si doterà finalmente di quella società per la rete unica frutto della fusione tra gli asset Tim e Open Fiber. E allora servirà uno sforzo condiviso e bilaterale, sia da parte dello Stato sia dai parte dei Comuni, collina, mare o montagna che siano.
Non è un caso che l’obiettivo, e anche un po’ l’ambizione si Infratel sia quello di creare vere e proprie comunità digitali: un territorio che improvvisamente diventa attrattivo e digitale, feudo per imprese e innovazione. La società guidata da Marco Bellezza in realtà ha già sperimentato con successo questi modelli. Ma non basta, c’è un intero Paese da coprire.
QUESTIONE DI ALLEANZE
Il senso del dibattito è stato dato, per parte Infratel, da Valentina Cefalù, del team Relazioni esterne e New media di Infratel intervenuta in sostituzione di Bellezza, assente. “Oggi nel Paese si scontano dei ritardi, che ora più che mai vanno colmati. Il digitale deve diventare non solo un valore ma anche un fattore abilitante, per la scuola, l’educazione e il benessere dei cittadini. Abbiamo un’opportunità unica in questo momento, non solo perché ci siamo finalmente accorti di quanto il digitale possa essere la vera svolta del Paese. Ma anche perché all’orizzonte c’è il Recovery Plan, le cui risorse sono state per l’appunto previste dalla stessa Europa per lo sviluppo del digitale”, ha spiegato Cefalù. “Ma per realizzare il nostro obiettivo, quello di Infratel che poi è quello dello stesso Paese, serve un’alleanza. Tra lo Stato e i territori, tra le istituzioni e i comuni, tra il centro e la periferia. Un’alleanza che noi abbiamo già sperimentato con i successi delle Comunità digitali. Perché, solo così facendo noi potremo davvero trasformare il Paese, aumentandone la qualità della vita”.
IL PATRIMONIO DEL 5G
Antonio Sassano, presidente della Fondazione Ugo Bordoni, ha spostato l’attenzione sul 5G, la tecnologia mobile ultra-veloce. “L’uso locale delle frequenze 5G è una grande occasione di sviluppo, ricchezza e valorizzazione a livello locale per i Comuni italiani. I Comuni dovrebbero giungere alla conclusione che le frequenze locali del 5G, che sono una parte delle frequenze complessive, e che non sono soltanto il wifi, e vengono assegnate in maniera licenziata ed esclusiva per usi locali ed anche per aree molto piccole. Gli Inglesi ad esempio pensano addirittura ad aree di poche centinaia di metri di raggio. Questo vuol dire che ci sarà uno sviluppo locale di questa ricchezza e vuol dire anche che le cittadinanze non dovranno vedere soltanto in modo difensivo l’avvento del 5G. Il 5G è un patrimonio per i Comuni. Così come i piani regolatori intervengono a gestire una ricchezza di questo genere”.
ALLA RICERCA DI UN PATTO
Di sinergia ha parlato anche Marco Bussone, presidente dell’Uncem, l’Unione delle comunità montane. Per Bussone “sotto le scrivanie c’è ancora tanto ferro. Che cosa voglio dire? Che c’è ancora tanto da dare e da dire. Per esempio, occorre un patto nuovo tra imprese delle telecomunicazioni ed enti locali per vincere il digital divide. E uno Stato che investe per colmare le sperequazioni territoriali. Il divario digitale non è fatto in Italia solo di internet che va a bassa velocità perché il piano banda ultralarga è in ritardo di due anni. Abbiamo evidenziato che quasi 5 milioni di italiani non vedono i canali Rai e poi di conseguenza abbiamo fatto un patto con l’azienda del servizio pubblico televisivo per sperimentare nuovi strumenti tecnologici sui territori. E la sperimentazione parte da Vernante, con i vertici Rai in prima fila”. “Abbiamo evidenziato, numeri alla mano, che 1200 Comuni in Italia registrano problemi con uno o più operatori di telefonia mobile. Non siamo stati fermi”.
IL PUNTO DI VISTA DELLE IMPRESE
Non poteva mancare ovviamente un punto di vista delle imprese, rappresentate per l’occasione dal segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “C’è da chiedersi che cosa sentano oggi le imprese sul digitale, che cosa percepiscano. Ebbene, quello che percepiscono è un livello di maturità culturale ancora sotto le attese e questo non va bene. Credo che sia importante avere degli auspici per il futuro e quello delle imprese è certamente coniugare l’innovazione con la sostenibilità. Perché le due cose sono strettamente connesse e poi l’innovazione è una forma di sostenibilità”.
L’ORA DEL DIGITALE
La conclusione dei lavori è stata affidata al sottosegretario allo Sviluppo, Alessandra Todde. La quale è partita dalla consapevolezza che la pandemia abbia offerto all’Italia una grande opportunità. “Lo abbiamo capito proprio in questi mesi: le infrastrutture digitali sono il vero volano per il rilancio del Paese. E quando parlo di volano, parlo di imprese, cittadini, vita quotidiana. D’altronde, la chiave per la riapertura e per la sopravvivenza delle imprese passa attraverso un approvvigionamento sicuro e continuo di digitale e la modifica dei modelli di comportamento aziendali. L’emergenza rappresenta inoltre l’occasione per la digitalizzazione di molte attività”.
Todde non ha tuttavia nascosto la realtà. “Ci sono alcuni territori svantaggiati, che oggi hanno bisogno di scuole che funzionino anche da remoto. La banda larga e il 5G sono delle leve. Non dobbiamo mai e poi mai dimenticare che la trasformazione del tessuto urbano passa da quello che si può fare. E quello che si può fare dipende anche dalla vocazione dei territori, che vanno capiti e intercettati da parte delle istituzioni. Per fare questo serve coraggio. Ma ne vale la pena”.