L’ex capo degli 007 israeliani e già ministro della Scienza a Formiche.net: Mossad e Shin Bet si sono occupate di rifornimenti e monitoraggio del virus dal giorno zero, entro due mesi Israele sarà immune. Il segreto? Privati, ricerca e intelligence insieme. Biden? Speriamo prenda esempio da Trump
Non hanno le primule e neppure l’app Immuni, ma hanno già un piede fuori dalla pandemia. Il successo degli israeliani contro il coronavirus è nei numeri. In meno di dieci giorni a mezzo milione di cittadini è stato iniettato uno dei due vaccini comprati in dosi bibliche dal governo dalle americane Pfizer e Moderna. Un israeliano su venti, oggi, è pronto a tornare alla vita normale. Complice un sistema di coordinamento fra governo, privati, ricerca che funziona ovunque, dalla cyber-security alla medicina. E di due agenzie di intelligence, il Mossad (Esteri) e lo Shin Bet (Interno), che hanno più strumenti e manovra di un super ministero. “Abbiamo tracciato il virus fin dall’inizio, poi coordinato i rifornimenti”, racconta a Formiche.net Yaakov Peri, ex capo delle spie israeliane dello Shin Bet, che ha diretto dal 1988 al 1995, gli anni delle intifade palestinesi, poi ministro della Scienza. Un’istituzione nel mondo degli 007.
Peri, fra quanto ne sarete fuori?
Difficile fare previsioni certe. Durante la prima settimana abbiamo vaccinato più di 50mila persone al giorno. Per inizio 2021 quasi tutte le persone in pericolo, compresi tutti gli over-60, saranno vaccinate. Nel giro di due mesi e mezzo chiunque voglia essere vaccinato potrà farlo. Qualcuno, una minoranza, aspetterà di vedere se ci sono effetti collaterali.
Qual è il segreto del modello israeliano?
Bisogna risalire alla fondazione di Israele nel 1948, quando sono nate le quattro “Organizzazioni della sanità”, oggi compagnie private che forniscono gran parte dei servizi medici. Una di queste, la più grande, un tempo era un sindacato. La collaborazione fra privati e governo è la nostra forza.
Il tempismo ha fatto la differenza?
Sì, il governo si è mosso in anticipo, con un’operazione senza precedenti. Ha acquistato i vaccini da Moderna e Pfizer e li ha portati in Israele attraverso un corridoio continuo di voli aerei, abbiamo dosi a sufficienza per l’intera popolazione. Chi si reca in ospedale riceve il vaccino.
Netanyahu ne esce più forte?
Il premier si è preso su di sé il compito di importare le dosi del vaccino. Sicuramente il successo della missione gli darà un vantaggio alle elezioni generali del 23 marzo, le quarte in due anni.
Come andranno a finire?
Ci sono diversi partiti in corsa, l’atmosfera è tesa e il malcontento verso il governo in carica aumenta. Netanyahu potrà giocarsi la carta del vaccino. Di questo passo, potrebbe rivelarsi una carta vincente.
Quattro volte al voto in due anni. Non è un segnale di debolezza?
Senz’altro. È il grande paradosso della situazione politica a Gerusalemme. L’opposizione al governo cresce di giorni in giorno e così le manifestazioni contro Netanyahu, la speranza è che le elezioni di marzo portino un po’ di stabilità.
Perché Moderna e Pfizer hanno puntato subito su Israele?
Ci sono due principali ragioni. La prima è che erano interessate a fare di Israele un test di prova del vaccino. Ha solo nove milioni di abitanti, e un’alta qualità nella ricerca scientifica e nella creatività tecnologica. Se il vaccino avrà il successo stimato, il ritorno di marketing sarà enorme.
La seconda?
Israele non eccelle solo nel sistema sanitario ma anche nella gestione dei pazienti e nel mantenimento dell’ordine pubblico. Il primo ministro e il ministro della Salute hanno negoziato con successo il prezzo e sono stati i primi ad averlo. Una situazione win-win per aziende e governo.
I servizi segreti hanno fatto da ago della bilancia?
Le due agenzie sono state molto attive fin dall’inizio della pandemia. Netanyahu ha chiesto al Mossad di comprare i respiratori per gli ospedali, obiettivo raggiunto in tempi brevi. Allo Shin Bet invece è stato affidato il sistema di monitoraggio dei contagi, la rilevazione, attraverso le cellule telefoniche, degli spostamenti di chi è stato contagiato. Una soluzione che si è dimostrata efficace ma ha provocato polemiche, anche all’interno dell’agenzia, sull’opportunità di usare per scopi civili una tecnologia utilizzata per stanare i terroristi.
Il ministero della Salute ha detto che, per il momento, i palestinesi non saranno vaccinati. Non si rischia di creare altre tensioni a Gaza?
Gli arabi israeliani sono cittadini a tutti gli effetti e possono ovviamente essere vaccinati. I palestinesi a Gaza o nella West Bank devono provvedere a se stessi. Ovviamente Israele è pronta a dare una mano, è nel nostro interesse non avere lavoratori contagiati che attraversano i confini ogni giorno. Nella striscia di Gaza si stimano fra i 30.000 e i 40.000, lo stesso numero a Est di Gerusalemme.
Con Joe Biden alla Casa Bianca le tensioni diminuiranno?
È una grande incognita. Sappiamo che i palestinesi sono infuriati con Trump, sperano che Biden sia più dialogante.
E voi?
Noi speriamo che scelga una linea il più possibile in continuità con quella di Trump. Temo che Israele non sarà la priorità di Biden a causa dei suoi problemi di politica domestica. Ci saranno cambiamenti. Come e dove, è presto per dirlo.