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Perché il 2021 di Erdogan e Putin si somiglia. Analisi di Ottaviani

Entrambi uomini forti nei loro Paesi, il presidente turco e quello russo dovranno affrontare un 2021 non semplice. Dalla transizione del potere ai consensi per i loro rispettivi partiti, fino alla crisi del Covid… L’approfondimento di Marta Ottaviani

Amici nemici, padroni assoluti dei loro Paesi, così diversi fra di loro, eppure sotto certi aspetti così simili. Ad accomunare il presidente russo, Vladimir Putin e l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, c’è anche il fatto che il 2021 non sarà affatto un anno facile e che, se non stanno attenti, entrambi potranno vedere minato il proprio consenso personale.

In una cosa, si somigliano già tantissimo: i partiti politici di cui sono l’anima stanno andando malissimo. Russia Unita, il partito fondato nato nel 2001 e che da quel momento ha la maggioranza del Paese e di cui Putin è il coordinatore, è in clamoroso calo dei consensi. Un sondaggio condotto dal Centro Levada, noto per la sua oggettività nel condurre questo tipo di ricerche, ha evidenziato come, se si andasse al voto oggi, appena il 31% dei russi voterebbe per la formazione politica del presidente Putin. Se si pensa che alle politiche del 2016, Russia Unita aveva ottenuto il 54,20% dei consensi, se i sondaggi dovessero venire rispettati, si tratterebbe di un vero e proprio tonfo. Una brutta prospettiva, se si pensa che, fra la primavera o l’autunno del 2021, Covid permettendo, la Russia andrà al voto proprio per rinnovare la Duma.

Non va meglio in casa Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, fondato da Erdogan nel 2000 e che già alle elezioni del 2018 aveva avuto bisogno di una coalizione con i nazionalisti del Mhp per formare il governo, adesso sarebbe passato, sempre secondo i sondaggi, dal 42,5% al 30-33%. Prima del 2023 è difficile che si vada al voto. Il problema è che per quel momento, la situazione potrebbe persino essere peggiorata.

Come se i consensi elettorali non bastassero, ci sono due aspetti che preoccupano tanto il Cremlino, quanto l’Ak Saray: l’economia e la pandemia da Covid-19.

Tanto la Russia quanto la Turchia stanno attraversando una situazione economica quanto mai delicata. La prima ha dovuto fare i conti con un anno che ha visto una drastica diminuzione del prezzo del petrolio, che ha rappresentato per anni il vero traino della crescita economica. Lo stesso presidente Putin ha dovuto ammettere che quei tempi sono finiti e che la strategia economica nazionale deve assolutamente cambiare. Per il 2021, la World Bank ha previsto una potenziale crescita del 2,6% del pil, dopo però che nel 2020 è stato perso il 4,5%.

In casa turca, il governo ha grandi aspettative per il 2021 e ancor più per il 2022. Dopo aver perso il 3,9% del pil nel 2020, nei prossimi due anni conta di crescere del 4% quest’anno e del 4,5% l’anno prossimo. A frenare gli entusiasmi ci pensano gli addetti ai lavori. Secondo le agenzie di rating, la crescita di Ankara sarà più modesta, intorno al 3,6%. Ma soprattutto, dovrà fare i conti con una valuta sempre deprezzata sulla divisa americana e quella europea e mercati finanziari instabili. Anche per questo, il presidente Erdogan è tornado a corteggiare l’Unione Europea, seppure a modo suo, ossia con ricatti e recriminazioni.

Su entrambi gli Stati pesano poi quelle che saranno le decisioni della nuova amministrazione americana, che potrebbe decidere di comminare nuove sanzioni a entrambi, come di allentare la presa.

Il capitolo Covid è particolarmente penoso per entrambi i Paesi. Russia e Turchia sono accomunate da una mancanza di trasparenza sull’andamento dei contagi come sul numero reale dei morti. Una situazione di incertezza che sta avendo conseguenze dirette sul gradimento di entrambi i leader e che potrebbe continuare anche nel 2021, nonostante Mosca abbia dichiarato di aver già vaccinato almeno un milione di persone.

Infine, la politica internazionale. Tanto Mosca, quanto Ankara, nel 2020 si sono imposte su diversi teatri. Ma la loro alleanza subisce le tensioni dei luoghi dove i loro interessi sono contrapposti. Nel 2021 quindi continueranno le frizioni tanto in Siria, quanto in Libia. Possibili anche divergenze sulle sorti del Nagorno Karabakh, con la Turchia che vorrebbe impiantare una presenza militare in Azerbaigian.

Entrambi i Paesi, hanno situazioni particolari da monitorare e che potrebbero procurare non pochi problemi. Mosca è alle prese con la difficile transizione del potere in Bielorussia, dove, nonostante continuino le proteste contro il Presidente Aleksandr Lukashenko, non è cambiato nulla. Ankara continuerà la sua lotta contro la Grecia per l’acquisizione di acque territoriali, che per il diritto internazionale non le spettano e che provocheranno tensioni in tutta l’Unione Europea.

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