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Il clima entra nelle strategie del Pentagono. L’ordine di Biden (e i piani di Austin)

L’ordine esecutivo firmato dal presidente Joe Biden per porre i cambiamenti climatici “al centro” delle questioni di sicurezza nazionale chiama in causa anche il Pentagono. Dovrà tenere conto delle implicazioni ambientali in ogni documento strategico e piano operativo, riferendo annualmente al Consiglio di sicurezza nazionale. Così Lloyd Austin ha accolto la sfida

Il cambiamento climatico ha fatto ieri il suo ingresso ufficiale al Pentagono. Il presidente Joe Biden ha infatti siglato un ordine esecutivo che rende il clima argomento di sicurezza nazionale, chiamando all’appello tutti i dipartimenti federali, le agenzie e gli organi impegnati nella postura securitaria e internazionale degli Stati Uniti.

LE RAGIONI

La novità era nell’aria, soprattutto dopo la firma dello stesso Biden (tra le prime successive all’insediamento alla Casa bianca) per far rientrare gli Usa negli accordi di Parigi. “Gli Stati Uniti e il mondo stanno affrontano una profonda crisi climatica”, spiega ora il presidente nell’introduzione al nuovo ordine esecutivo. I tempi sono “stretti” per evitare “gli impatti più catastrofici di questa crisi”, aggiunge Biden, che dunque chiede di posizionare il cambiamento climatico “al centro della politica estera e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. L’ordine è rivolto a tutti i dipartimenti e a molteplici agenzie, a partire dal dipartimento di Stato guidato da Tony Blinken.

IL RUOLO DEL PENTAGONO…

Coinvolto direttamente anche il Pentagono, guidato dal nuovo segretario Lloyd Austin. “Includeremo le implicazioni sulla sicurezza del cambiamento climatico nelle nostre analisi di rischi, nello sviluppo strategico e nelle direttive di pianificazione”, ha spiegato il generale accogliendo le indicazioni del presidente. Il dipartimento sarà coinvolto nella National Climate Task Force, presieduta dal consigliere nazionale sul clima, a diretto riporto del presidente.

…E I DOCUMENTI STRATEGICI

In particolare, si legge nell’ordine esecutivo, il dipartimento della Difesa (in coordinamento con altri dipartimenti, l’intelligence, la Nasa e ulteriori agenzie coinvolte) dovrà “sviluppare e sottoporre al presidente, entro 120 giorni, un’analisi delle implicazioni sulla sicurezza del cambiamento climatico”. Dovranno inoltre essere “incorporata nelle simulazioni, i war-gaming e altre analisi”. La seconda disposizione rivolta al Pentagono prevede che i risultati di tale “Climate Risk Analysis” vengano debitamente tenuti in considerazione nello sviluppo dei vari documenti strategici, a partire dalla prossima National Defense Strategy. Inoltre, dal 2022 il segretario alla Difesa e il capo di Stato maggiore dovranno fornire un aggiornamento annuale al National Security Council sui progressi compiuti in tal senso.

I TRASCORSI

Il dibattito su cambiamento climatico e sicurezza non è nuovo negli ambienti della Difesa a stelle e strisce. Già a giugno 2019, la commissione sui Servizi armati della Camera inseriva nell’autorizzazione al budget 2020 del Pentagono la richiesta di un piano per sanare le vulnerabilità presenti, prevedendo 67 milioni di dollari a tal fine. Il riferimento era soprattutto alla sicurezza delle basi militari, colpite nei mesi precedenti da tempeste e cicloni. Erano fresche le immagini della base dell’Aeronautica a Offutt, in Nebraska (sede dello US Strategic Command con oltre 10mila unità presenti) quasi completamente sommersa da metri di acqua nel marzo precedente. A ottobre 2018 l’uragano Michael aveva fatto anche peggio in diverse basi militari in Florida e Nord Carolina.

I PASSI IN AVANTI

Già nei primi mesi del 2019 l’allora segretario alla Difesa pro tempore, Patrick Shanahan, manifestava preoccupazione per l’accresciuto numero di basi considerate esposte a questo tipo di fenomeni. Un report del Pentagono notava che almeno sette strutture rischiavano di perdere il bollino “safe” a causa dell’innalzamento dei livelli del mare. Altre sette rischiavano la stessa sorte con l’aumento di frequenza e potenza degli incendi. Con il nuovo ordine esecutivo il Pentagono dovrà però fare un passo in più, integrando i cambiamenti climatici non solo nella valutazione sulla sicurezza della base militare, ma anche nei più ampi ragionamenti strategici e tattici. Il caso-studio più citato è l’Artico, regione considerata oramai nuovo terreno di confronto in virtù dello scioglimento dei ghiacci, che ha aperto rotte e interessi prima inesistenti.

IL DIBATTITO ALLA NATO

Tutto questo si estende al contesto Nato. Come spiegato in un’intervista di Europa Atlantica dall’ambasciatore Francesco Talò, rappresentante permanente d’Italia al Consiglio Atlantico, “anche la Nato ha iniziato a occuparsi di ambiente e cambiamento climatico, e a riflettere sulla loro importanza rispetto alla dimensione della sicurezza”. Il tema è tra quelli del processo di riflessione strategica Nato2030, elaborato dal gruppo di esperti nominato dal segretario generale Jens Stoltenberg. Certo, “non sono temi del tutto nuovi, perché già nel concetto strategico del 2010 si faceva cenno a queste sfide emergenti; ora – ha spiegato l’ambasciatore – si sta anche ragionando della possibilità di un aggiornamento del concetto strategico, per cui è probabile che così come questi temi erano presenti dieci anni fa, lo saranno, sempre di più, in un eventuale aggiornamento”.

IL RUOLO ITALIANO

Su questo l’Italia è stata “apripista”, ha rimarcato Talò. Già lo scorso settembre la rappresentanza italiana alla Nato organizzava, con l’omologa britannica, l’evento “Nato and Nature: a changing climate”, da inserire nel quadro della partnership tra i due Paesi per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop26), in programma a Glasgow il prossimo novembre. “Sicuramente – ha spiegato Talò ad Europa Atlantica – il contesto della Cop26 è il luogo in cui parlare in termini generali e in un contesto con aspirazioni globali, soprattutto grazie al ritorno degli Stati Uniti, di cambiamenti climatici”. D’altra parte, ha rimarcato, “mi pare rilevante che l’Italia insieme al Regno Unito abbia indicato l’importanza specifica anche per quanto riguardo i temi della sicurezza, che sono quelli cruciali per la Nato, di affrontare la grande sfida per la nostra generazione rappresentata dai cambiamenti climatici e più in generale tutte le questioni ambientali”.

CASI EMBLEMATICI

Lo stesso tema è stato al centro di un recente evento organizzato dalla Nato Defense College Foundation, che ha individuato il cambiamento climatico tra i “Game Changers 2020”. In quell’occasione intervistavamo sul tema il presidente della Fondazione, l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo: “I cambiamenti climatici hanno già riflessi sulla sicurezza internazionale. Se si scioglie il ghiaccio dell’Artico, si aprono nuove rotte marittime, con una serie di interessi ad esse connesse. Se aumenta la siccità in Africa, crescono i flussi migratori. Senza contare poi tutto il tema delle risorse naturali, per cui cito a titolo d’esempio la diga in costruzione in Etiopia, alle sorgenti del Nilo azzurro, tra l’altro da parte dell’italiana Salini. Seppur per ragioni comprensibili, potrebbe avere conseguenze gravi per l’Egitto, che non ha caso ha fatto emergere anche l’ipotesi di attacco preventivo”.

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