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Brexit, l’interpretazione (non convenzionale) di Balducci

Standard setting e Corte europea di giustizia sono due angolature importanti per valutare l’accordo sulla Brexit e le conseguenze che questo avrà sia nel Regno Unito che sul futuro dell’Unione europea. L’analisi di Massimo Balducci

Tentativi di valutare il risultato dell’accordo Uk/Ue sulla Brexit stanno emergendo numerosi. Molti di questi tentativi cercano di stabilire se ci sia stato un vincitore o se ambedue le parti abbiano perso (come dichiara Barnier, il negoziatore per conto della Ue). In tutte le analisi di questo tipo che sono riuscito a vedere sembrano mancare due elementi, per me cruciali, elementi che potrebbero permettere di dare un giudizio su chi ha vinto o chi ha perso nel negoziato appena concluso (che, comunque, richiederà ancora molte negoziazioni integrative destinate a durare anni).

Un elemento che non ho visto preso in considerazione in queste prime analisi è il tema dello “standard setting”. Quando alla fine degli anni ‘80 dello scorso secolo l’idea di far evolvere la Comunità europea in una vera e propria Unione, soprattutto dopo il rapporto Cecchini sui costi della non Europa, si cominciava ad affermare, oltre oceano si consolidò l’idea del pericolo di una “fotress Europe”. La Comunità europea non era solo il più ricco mercato del mondo e il maggiore player nel commercio internazionale ma rischiava di diventare una fortezza. Cerchiamo di capire il perché di questo timore. Il passaggio dalla Comunità all’Unione avrebbe determinato la creazione di un vero mercato interno (non più solo comune) necessariamente basato su vari pilastri: moneta unica, statuto d’impresa unico, sistema unico di accreditamento dei beni e servizi in circolazione nel territorio dell’Unione.

La Comunità con Maastricht è diventata Unione e ci si è presto resi conto che il sistema unico di accreditamento diventava una sorta di accreditamento forzato per il mondo intero. Chiunque in Giappone, California o Australia volesse produrre qualunque cosa era di fatto costretto ad adeguarsi agli standard della Ue se voleva avere accesso a questo mercato. Le grandi imprese multinazionali (Monsanto, Sony, Toyota etc.) si sono presto viste spossessate di un loro potere cruciale: quello di imporre gli standards. Quello che non era mai riuscito all’Iso (International standard organization) era riuscito alla Ue. Con in aggiunta il fatto che alla decisione di accreditare i vari standards sono chiamati i diversi stakeholders (imprese, sindacati, associazione dei consumatori, no profit etc.).

Orbene l’accordo sulla Brexit prevede che ci sia libera circolazione dei beni e servizi prodotti nella Ue e nello Uk purché rispettino le caratteristiche previste nel territorio in cui vengono generati. In questo modo nella Ue, cioè nel mercato più grande e più ricco del mondo, potranno circolare beni e servizi che non rispondono agli standard della Ue. Qui il Regno Unito ha marcato un punto fondamentale a suo favore, punto che sembra essere sfuggito ai commentatori. Sorge il dubbio che questo elemento non fosse nemmeno presente nella mappa cognitiva dei negoziatori da parte Ue che, forse, hanno dell’Europa un’idea limitata all’aspetto giuridico formale.

Qui si corre il pericolo che si ripeta quanto sta avvenendo con l’accordo Ue/Canada. Il Comprehensive economic and trade agreement (Ceta) tra Ue e Canada prevede proprio questo, che, cioè, i beni e i servizi prodotti in Canada secondo le regole canadesi possano circolare liberamente nella Ue e che i beni e i servizi prodotti nella Ue secondo le regole Ue possano circolare liberamente in Canada.

I criteri richiesti per accreditare prodotti e servizi nel mercato interno Ue sono molto più rigidi e complessi di quelli richiesi in Canada e nello Uk. Non da ultimo perché vari stakeholders vengono coinvolti nel processo. Ed è fondamentalmente per questo fatto che solo 9 dei 27 Stati membri della Ue hanno ratificato il Ceta tra Canada e Ue. Succederà la stessa cosa anche con il Trade and cooperation agreement (Tca) tra Ue e Uk? Una volta ratificato il Tca, i prodotti e i servizi inglesi non dovranno più adeguarsi agli standards Ue per poter essere commercializzati in Europa.

Una breve nota a parte sembrano richiedere i servizi bancari. Qui una serie di obblighi caratteristici del mercato interno europeo sembrano ancora in vigore soprattutto relativamente alla tracciabilità delle transazioni. Gli istituti di credito inglesi si sono però nel frattempo attrezzati, scindendosi in due tronconi: uno che opera secondo gli standards inglesi e che resta basato nella city ed uno che si sottomette alle normative Ue che si è nel frattempo istallato a Parigi o a Amsterdam.

Il secondo elemento che non sembra essere preso adeguatamente in considerazione dai commenti correnti è il ruolo della Corte europea di giustizia di Lussemburgo. Nel summary pubblicato sul sito del governo inglese sul Trade and cooperation agreement si può leggere “most importantly, the agreement provides for the Uk to take back control of our laws, affording no role for Eu law and no jurisdiction for the European Court of justice” e ancora “the agreement is based on international law, not Eu law. There is no role for the European Court of justice and no requirements for the Uk to continue following Eu law”.

Qui la lingua batte dove il dente duole. Quella della Corte del Lussemburgo è un punto cruciale per gli inglesi. In effetti gli operatori sanno bene che alla Corte di Lussemburgo si lavora solo in francese (anche se tutti i documenti, originariamente sempre stilati in francese, vengono poi tradotti nelle 24 lingue della Ue). Questa prevalenza del francese non è dovuta ad una subdola operazione della Francia ma al fatto che il diritto della Ue appartiene alla famiglia dei di sistemi giuridici romano-germanici, ben diversa dalla common law inglese .

Alla lingua inglese manca la terminologia e al giurista inglese manca l’armamentario concettuale per interagire con il diritto della Ue, laddove negli anni ‘70 dello scorso secolo la costruzione europea ha superato l’impasse del compromesso del Lussemburgo (la sedia vuota francese) e si è sviluppata proprio grazie alla sua comune cultura giuridica. Al di là della Corte di Giustizia, anche tutta le legislazione europea (trattati, direttive, regolamenti) viene originariamente sempre stesa in francese e solo in un secondo tempo tradotta nelle altre lingue.

Qui il Trade and Cooperation Agreement rappresenta un momento di chiarezza. Resta da vedere che cosa questo comporta per la carta dei diritti fondamentali della Ue che è parte del trattato di Lisbona ma per la quale non è prevista la possibilità di recesso. Lo Uk dovrà ancora fare i conti con la Corte di Lussemburgo? Come pure non va sottovalutato che, all’interno dello Uk, il sistema giuridico scozzese appartiene alla famiglia romano-germanica. Privata dell’ombrello della Corte di Lussemburgo la Scozia si sentirà sempre più spinta verso la secessione?



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