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Capitol Hill, la lezione Usa in casa italica

Di quanto accaduto negli Usa gli scorsi giorni non si smette di parlare, né di pensarci. Ma quale può essere la lezione per l’Italia, tra fatti, opinioni e speranza? Tre i punti nodali, che si possono leggere nell’analisi di Rocco D’Ambrosio

Non smettiamo di pensare alle scene del Campidoglio statunitense: leggiamo e ne parliamo con amici. La lezione resta molto difficile, perché complessa e risultato di anni carichi di eventi e significati. In questo marasma di fatti, opinioni e speranza, c’è una lezione (piccola e in fieri) per noi dall’altra parte dell’oceano? Credo di sì. Sinteticamente, in tre punti.

1. Il capo e la massa. Il Campidoglio statunitense assediato ha avuto due polarità: la folla di manifestanti e il presidente Trump. Due polarità che devono far pensare anche qui: un capo, con atteggiamenti rasenti la follia, e una folla aizzata. Capire la massa è un’impresa quasi impossibile. Dopo decenni di studio Elias Canetti scriverà, a proposito della massa: “È un enigma che mi ha perseguitato per tutta la parte migliore della mia vita e, seppure sono arrivato a qualcosa, l’enigma nondimeno è restato tale”. La massa è irrazionale, è composita, risponde ad istinti, non ragiona, idolatra il capo, ne condivide la follia. Capire il capo è forse un’operazione meno complessa e, soprattutto, eticamente, le responsabilità del capo sono di gran lunga superiori a quelle della massa. E il capo non è venuto fuori dal nulla: falle nel sistema istituzionale (presidenziale o parlamentare che sia), debolezza dei partiti, peso delle risorse economiche nella scelta dei candidati, quasi totale scomparsa della cittadinanza attiva, mancata vigilanza degli organismi di controllo. Abbiamo da imparare? Certo, e molto. Non a caso rischiamo una crisi di governo per qualche politico, con tratti da adolescente incosciente, che invece di aiutare l’esecutivo a migliorare la sua azione, gioca allo sfascio. Trump ha molti colleghi nel mondo.

2. Il dato culturale. I Paesi che vivono ondate populiste sembrano interrogarsi molto poco sulle radici culturali di esso. Ci sono fette di Paese, negli Usa come in Italia, con basso livello culturale, grandi difficoltà economiche, disagio psicologico crescente. I partiti tradizionali, specie di sinistra, che sapevano intercettare questi bisogni, sono diventati partiti borghesi, poco attenti a ciò che non va. Basta leggere le cartine nazionali: la sinistra prende voti dove la gente sta sostanzialmente bene; mentre i populisti, per lo più, sono idolatrati dove c’è disagio economico, sociale e culturale. Queste tendenze non si cambiano dalla sera al mattino, ma solo con un serio lavoro culturale che coinvolga tutte le agenzie culturali (famiglie, scuola, università, associazionismo, comunità di fede religiosa, mass media ecc.). È questa una sfida vitale non solo per Biden, ma anche per noi.

3. Il pensiero debole. Negli ambienti non populisti, apparentemente più sani e lontani dal populismo, esistono forme di pensiero debole, che generalmente non studia i fenomeni con profondità e tende a sottovalutarli, ne tantomeno educa a un pensiero serio e fondato sui principi costituzionali oppure fa mediazione culturale ed educazione dei meno preparati. Basta ricordare come abbiamo sottovalutato il berlusconismo, i suoi aspetti populisti, antiistituzionali e corrotti. Gli attuali populisti italiani, di destra e di sinistra, sono figli di quella cultura. Sono quelli che hanno distrutto la mediazione dei partiti, hanno esaltato il movimentismo, hanno cambiato il nome dei partiti con il proprio, hanno usato e umiliato le istituzioni pubbliche: il tipo di leader, come scrive Emanuel Mounier, che “asservisce, è un usurpatore che sottomette a sé i suoi subordinati come proprietà o come strumenti, è un principe vanaglorioso che umilia la moltitudine, è un preservato che si pone al sicuro di ogni lotta”. A mo’ di esempio si pensi, qui come negli Usa, a quanti capi religiosi (cattolici, protestanti, ecc.) hanno appoggiato questi leader, per convinzione o privilegi ricevuti. E invece di educare bambini, giovani e adulti a incarnare la loro fede religiosa nel rispetto dei principi civili fondanti, hanno alimentato i fuochi locali da cui partono i manifestanti di cui oggi ci lamentiamo.

Nessuno, con un minimo di coscienza e responsabilità, vorrebbe essere al posto di chi oggi deve governare, in tutte quelle parti del mondo dove i populisti fanno danni. Eppure bisogna farlo, con l’aiuto di tutti. Come dice un verso della poetessa Wislawa  Szymborska: “C’è chi deve ripulire. / In fondo un po’ d’ordine / da solo non si fa”.

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