Abbandoniamo le polemiche politiche ed entriamo nel merito. Questo Paese ha bisogno di investire nella sicurezza cibernetica e nell’intelligence economica, con i modi e i tempi giusti. E la fusione fra Fca e Psa sta lì a dimostrarlo. L’intervento di Enrico Borghi, deputato del Pd e componente del Copasir
Si è discusso molto – e con ragione – attorno alla vicenda della cybersecurity, e alla modalità quanto meno singolare con la quale il Presidente del Consiglio ha messo sul tavolo una soluzione (molto contrastata) di privatizzazione di un pezzo del comparto di intelligence del nostro Paese, legandola proprio ai temi della sicurezza cibernetica.
Irretito da questo dibattito, che ha assunto subito uno spessore e una curvatura tipicamente politica (al punto da trascendere il merito per diventare – come troppo spesso accade in questo paese – una bandiera da sventolare), il mondo politico ha commesso il tipico errore di chi vive solo della contemporaneità, perdendo di vista la prospettiva.
Ammalati di miopia come siamo, ci stiamo soffermando sul dito, e non scorgiamo la Luna che esso indica.
È sicuramente importante, anzi per alcuni aspetti decisivo, ragionare su come attuare un meccanismo di architettura cibernetica sicura. Ma senza che ciò faccia perdere di vista una delle emergenze ancora maggiori, che sovrasta il dato tecnico della cybersecurity, e che rimanda ad un elemento fondamentale: il potenziamento radicale del servizio di raccolta e elaborazione delle informazioni importanti dal punto di vista economico-produttivo in Italia, e la creazione di un vero sistema nazionale multilivello di intelligence economica e di pianificazione strategica dello sviluppo.
Gli attacchi cibernetici esistono, certamente. Ma per difenderci da essi, è bene capire la strategia di chi li conduce, prima del dato tecnico di come attutirli o renderli inoffensivi.
Gli avvenimenti che si sono sviluppati nel corso del 2020 (dalla pandemia al 5G, dall’estensione della golden power alle indagini del Copasir in materia di penetrazione dei soggetti esteri nel tessuto bancario ed economico nazionale) danno il quadro di un fenomeno in corso.
Del resto, sono sotto gli occhi di chi abbia voglia di vedere le conseguenze che possono creare – in termini di sicurezza, di immagine, di indipendenza, di indotto, di prodotto interno – operazioni di scorreria industriale, tecnologica o finanziaria sul territorio nazionale.
E oggi la competizione economica rappresenta – piaccia o meno – uno dei fondamenti su cui si innesta lo scontro ibrido contemporaneo attualmente in campo sul piano globale.
Si pensi solo alla vicenda del giorno, per capire le conseguenze. Stiamo assistendo alla fusione tra Psa e Fca, come primo banco di prova del capitalismo europeo in una scala di competizione globale. Bene, i canoni classici in questo perimetro sono saltati.
Perché la famiglia Elkann-Agnelli non si troverà a doversi relazionare solo con corrispondenti magnati dell’automobile, coi quali trattare affari e fare industria con gli schemi ordinari, ma seduto sul tavolo di “Stellantis” ci saranno almeno due entità statuali, una per via diretta (la Republique Francaise, che attraverso il fondo BPI detiene il 6,2% dell’azionariato) e una via per via indotta, la Repubblica Popolare Cinese presente nel nuovo azionariato con il 5,6% intestato al Fondo Statale Dongfeng, la cui connessione con il potere cinese è talmente connaturata alla propria nascita essendo stata fondata per una esplicita direttiva di Mao Zedong nell’ambito della strategia del “terzo fronte”.
Insomma, nell’assemblea degli azionisti John Elkann potrebbe trovarsi seduto a fianco di Bruno Le Maire e con un portavoce cinese collegato telefonicamente con Pechino. È troppo malizioso ipotizzare che questi soggetti esteri, magari nel momento di mettere in campo investimenti strategici e al alto valore aggiunto (ad esempio, il processo di conversione totale della produzione dal motore a scoppio all’elettrico), si possano avvalere del lavoro della loro intelligence statuale?
È pensar male ipotizzare che il “set” informativo di questi soggetti possa essere più ampio e più approfondito di quello degli azionisti italiani in virtù di ciò che hanno alle spalle? E che quindi in quella società non si conterà solo per il capitale versato, ma anche per il sistema di relazioni e di informazioni che si detiene? E Stellantis è solo un esempio, delle molte joint-ventures realizzate o in corso di realizzazione nell’era del “capitalismo politico”.
Se vogliamo continuare a credere alla favola della verginità delle vestali conservata dai centurioni romani, possiamo anche farlo. Se invece vogliamo prendere atto –me ce ne sarebbe bisogno, anche con rapidità – che sul piano globale esistono gruppi strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi hanno ricevuto e ricevono linee di indirizzo strategico e supporto finanziario, e che essi si possono muovere anche con ostilità nei nostri confronti se restiamo fermi a contemplare il dito della nostra troppo stucchevole pantomima politica, allora possiamo fare un passo in avanti. Decisivo.
Perchè – come insegna il 5G, ma non solo – per la sua posizione geografica e per la sua particolare posizione all’interno dell’Allenza atlantica, l’Italia è un partner strategico. E proprio per questo non può e non deve permettersi errori.
Ci sono risorse pubbliche disponibili da investire nel campo della sicurezza, come si evince dal dibattito sulla Fondazione? Bene: mettiamole subito a disposizione di Dis, Aisi e Aise e – nell’ambito delle prerogative sancite dalla 124/07 – diamo vita ad un moderno sistema di intelligence economica, capace di allestire un sistema-Paese all’altezza dell’odierna competizione internazionale globale.
Atterrati sulla Luna, potremo magari poi capire le giuste dimensioni anche del dito!