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Il monello di Chaplin compie 100 anni, ma non li dimostra

Il 21 gennaio 1921, in pieno turbine legale per il suo primo divorzio, Charlie Chaplin, riusciva a mandare in sala, rocambolescamente, The Kid (Il monello): sarà uno dei capolavori del muto. Consacrava la figura di Charlot a livello planetario. Un perfetto melodramma che affrontava temi sociali facendo compiere al linguaggio del cinema un balzo in avanti. Chaplin introduceva, tra l’altro, la “metafora cinematografica”. Rivediamolo con lo storico del cinema Eusebio Ciccotti

“Avevo avuto uno screzio con al First National [casa di distribuzione] a proposito di Il monello; era un film in sette bobine che loro volevano distribuire in tre comiche di due bobine. Mi avrebbero pagato solo 405.000 dollari. Siccome mi era costato quasi mezzo milione di dollari, risposi che l’inferno si sarebbe congelato prima che io accettassi una proposta simile. Minacciarono di adire alle vie legali, ma sapevano benissimo di avere poche probabilità di spuntarla. Decisero di agire su Mildred per ottenere il sequestro del film» (C. Chaplin, La mia autobiografia, Mondadori).

UN DIVORZIO SOFFERTO

Infatti, in quelle settimane in cui Charlie Chaplin si preparava al montaggio di The Kid nella vita privata doveva affrontare il divorzio dalla sua prima moglie, l’attrice Mildred Harris. “Mildred sembrava in uno stato continuo di sovraeccitazione, sempre in cerca di nuovi orizzonti. Dopo un anno di matrimonio nacque un bimbo che visse solo tre giorni. […]. Pur vivendo nella stessa casa, ci si vedeva di rado, lei era molto occupata nel suo studio e io nel mio. Tornando dal lavoro trovavo la tavola da pranzo apparecchiata per uno. […]. Di tanto in tanto lei si assentava per una settimana, senza avvertire”. Decidono di divorziare di comune accordo. La Harris chiede 25.000 dollari, Chaplin gliene offre 100.000. Ella accetta ma, stranamente, non si presenta a firmare l’accordo con i suoi avvocati. Nel contempo Chaplin ha una soffiata dall’ambiente: la First National sta aizzando la Harris, tramite i suoi avvocati, per chiedere una somma più alta di 100.000, in modo che Chaplin accetti i 405.000 dollari necessari per chiudere il contratto e concludere il divorzio.

FUGA CON LA PELLICOLA

A questo punto emerge l’intuizione, necessaria anche fuori dal set, tipica dei grandi registi (De Sica, Dreyer, Hitchcock, Truffaut): “L’istinto mi disse di andare a montarlo in un altro Stato. Così partii per Salt Lake City con un paio di assistenti e più di 120.000 metri di pellicola, distribuita in cinquecento bobine”. Chaplin affitta tre camere in un Hotel. Una è utilizzata per ospitare le bobine, in assoluta segretezza, essendo la pellicola di quel tempo altamente infiammabile, e quindi vietato ospitarla in un albergo. Pur essendo le bobine numerate ogni tanto se ne smarriva una e “perdevamo tempo a cercarla, sul letto, sotto il letto, in bagno”. Il film riesce ad esser montato, a mano, senza attrezzatura, con le forbici e lo scotch.

CHAPLIN SI TRAVESTE DA DONNA

Ai primi di gennaio del 1921 Chaplin è a New York per organizzare la prima di The Kid; alloggia all’Hotel Ritz. Gli ufficiali giudiziari, inviati dalla First National, su incarico anche degli avvocati della Harris, lo cercano per consegnargli l’atto giudiziario e procedere con il sequestro delle pizze. Sono di piantone nell’atrio del Ritz. Chaplin, dopo due giorni di reclusione forzata, deve incontrare degli amici: lascia l’albergo indossando un abito da donna prestatogli da sua cognata, con tanto di cappello e veletta: il cinema si fa realtà!

DORMIRE NEL BRONX, IN CASA DI UN TASSISTA

A fine serata, dopo aver cercato in diversi hotel una camera, senza successo, il tassista, esausto, ormai sono le due del mattino, si offre di ospitarlo nella sua casa popolare, nel Bronx. Un appartamentino “poveramente ammobiliato ma pulitissimo”, per la gioia dei figli del tassista e di sua moglie. Questi, al mattino, gli prepara una colazione con caffè, uova e bacon. Intanto, la voce che Charlot è nel Bronx si è sparsa: Chaplin riceve in casa molti bambini che lo vogliono vedere. La settimana successiva il tassista, contattato da un settimanale popolare, dopo aver chiesto il permesso a Chaplin, scrive un articolo sull’incontro con il famoso attore. L’aver passato la notte ospite in una casa popolare di New York, era l’altra faccia della luna, la risposta alle ville sfarzose di Hollywood dimore delle stelle del cinema. L’articolo del tassista produce notevole risonanza: Charlot stava con la povera gente anche nella vita reale!

I DISTRIBUTORI NON CAPISCONO IL FILM

Nel frattempo il suo avvocato di Los Angeles ha risolto il problema della liquidazione per Mildred Harris; gli ufficiali giudiziari sono richiamati dalla First National. I cui dirigenti, alcuni giorni dopo, chiedono di vedere il film. Chaplin organizza una prima riservata. A fine proiezione i capo-zona della distribuzione non appaiono entusiasti. Nessun applauso, nessun complimento. Non capiscono il melodramma. Si aspettavano le solite brevi comiche piene di gag. Chaplin chiede un milione e mezzo. Essi giocano al ribasso. Chaplin taglia corto “prendere o lasciare”. Sono tutti imbarazzati, silenzio. Alla fine, il presidente, J.D. Williams, con un filo di voce, “Charlie è un film bello, parliamone”. Accetta la proposta di Chaplin: la First National, dopo aver recuperato il milione e mezzo dai biglietti, si accorda sul 50% dei futuri biglietti per i seguenti 5 anni. Dopo tale periodo il film sarebbe tornato di proprietà di Chaplin.

PRIMA A NEW YORK

Ora si può organizzare la prima ufficiale per la stampa e gli invitati, è il 21 gennaio 1921. Il passaparola e la stampa gridano al capolavoro. A partire dal 6 febbraio la First National lo distribuisce in tutti gli Stati americani. Chaplin era già noto per film cortometraggi di due/tre bobine di successo (intorno ai 30 minuti), come The Immigrant (1917), Dog’s Life (1918) e Shoulder Arms (1918). Ma con The Kid, cambiando stile, temeva un insuccesso. Il film appariva diverso. Innanzitutto, era il suo primo lungometraggio e, in secondo luogo, egli inaugurava un nuovo modo nel genere della commedia comica: il riso accanto alla tensione drammatica. Cosciente del rischio del neogenere (che poi gli storici definiranno “melodramma”) fece precedere il film da una didascalia affinché il pubblico, che si attendeva una serie di gag squisitamente comiche, non si sentisse tradito o deluso: “Una storia con una lacrima e un sorriso”.

SUCCESSO PLANETARIO

Nei primi sei mesi di proiezione The Kid incassa 600.000 dollari. Complessivamente supererà i 2.600.000 dollari, First National e Chaplin saranno soddisfatti. Dal 1922 The Kid raggiunge le principali città del mondo: Parigi, Berlino, Belgrado, Bruxelles, Stoccolma, Londra, Calcutta, Tokyo Sidney. Chaplin stesso accompagna, in tournée, l’uscita del film in Europa, arrivando a Londra in nave, seguito dalla stampa a bordo. Nelle città europee, piene di orfani della Grande Guerra, la storia del piccolo trovatello, commuove intere folle che attendono Charlot gremendo strade e piazze.

CHAPLIN GRANDE REGISTA DI BAMBINI

Negli anni Dieci se si volevano recuperare le spese della produzione di due bobine, in una storia strappalacrime, “bastava inserire un/a bambino/a un cane e il successo era garantito” (George Sadoul). Con Chaplin, per la prima volta un bambino, Jackie Coogan (sei anni), recitava da autentico attore, in un ruolo semanticamente forte. Nella scena in cui John sta per lanciare un sasso contro i vetri di una finestra, con la mano va all’indietro contro “qualcosa” di inatteso: è la divisa del poliziotto di quartiere che lo sta osservando. John tocca i bottoni, si gira lentamente, scopre l’imponente poliziotto. È magistrale nel cambiare azione e atteggiamento, inventarsi una gag (gioca con il sasso) e allontanarsi, prima trotterellando poi, d’improvviso, scappando, inseguito dal poliziotto. “Provò la scena tre quattro volte, poi fu padrone della meccanica. […] La scena fu una delle migliori del film» (C. Chaplin). Molti registi, del secondo Novecento, diranno di essersi ispirati a Il Monello nel dirigere bambini. Primo fra tutti Vittorio De Sica per Ladri di biciclette (1948), come poi Franco Rossi e Luigi Comencini. Lo stesso François Truffaut, rimarcando il suo illuminismo, riteneva “Chaplin più importante di Gesù Cristo”.

JAKIE COOGAN PIANGE

Un’altra scena perfetta, la più drammatica del film, è quella del piccolo strappato con violenza, dai funzionari dell’orfanotrofio, dalle braccia di Charlot, e gettato sul cassone del camioncino. Qui bisognava che Jackie piangesse. Ma quel giorno sul set vi era, come sempre, bel buon umore. Il piccolo rideva. Chaplin chiede aiuto al padre di Jackie, sempre presente per via del figlio minore. Il signor Coogan porta suo figlio in camerino e gli parla. Quando escono Jackie piange sonoramente e grosse lacrime rigano le bianche guance. Chaplin chiede stupito, al padre, se lo avesse picchiato. “No, gli ho semplicemente detto di obbedire, altrimenti lo avrei subito portato davvero in orfanotrofio!”. Chaplin sorpreso, grida agli operatori: “Giriamo!”.

UN ANTESIGNANO FILM “PROLETARIO” 

Nel 2011 la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti inserisce The Kid tra i film “culturalmente, storicamente ed esteticamente significativi”. The Kid è il primo film della storia del cinema in cui è presente una forte denuncia sociale. Prima dell’espressionismo tedesco, del realismo socialista sovietico, del realismo poetico francese. Un racconto che parla dell’infanzia abbandonata, di quartieri poveri e di ville di benestanti, di dormitori pubblici al limite della decenza, di un infante lasciato tra le immondizie, di un clochard che si fa padre adottivo, della disumana legge degli orfanotrofi pronta a calpestare i sentimenti; del diritto di, almeno, sognare un paradiso sulla terra (la scena degli angeli). Il film rischiò la censura per queste scene “proletarie” e di sottile contestazione del potere ma, avendo Chaplin cucito un racconto con inserti di una comicità innovativa e un lieto fine in cui compariva la ricomposizione della famiglia, evitò i tagli.

LA NUOVA ESTETICA DEL CINEMA

Sul versante estetico Chaplin mostrava innovazioni linguistiche notevoli: il montaggio a scalare dei piani (la sequenza incipitaria in cui Edna Purviance esce, con l’infante in braccio, dal Charity Hospital); l’uso della profondità di campo (la scena dell’auto rubata con il neonato, posta ad angolo tra un pezzo di muro e un punto di fuga con case in secondo e terzo piano); il ricorso a panoramiche solo se necessarie; la suspense ottenuta con il montaggio alternato. Particolarmente innovativa è l’introduzione della “metafora cinematografica”: un gruppo scultoreo di un Cristo che porta la croce, inserito mentre la ragazza-madre esce dal Charity Hospital, che significa “deve portare la sua croce come Cristo”, è semplicemente folgorante. Grazie a Chaplin questa figura retorica sarà sfruttata ampiamente da Sergej M. Ejzenštejn.

INVENZIONI UMORISTICHE D’AVANGUARDIA

Il bricco di caffè con la tettarella montata sul becco per far ciucciare il neonato; la cesta a mo’ di amaca con un foro che permette il “collegamento” con il vasetto da notte posizionato sotto; il rompere i vetri delle finestre a sassate e poi presentarsi come casuale vetraio ambulante; infilare sotto le coperte di un letto d’un dormitorio un bambino per non farlo pagare; trasformare un litigio tra due bambini in un incontro di boxe: sono inedite e geniali gag, autenticamente dadaiste e pre-surrealiste.

LA SINISTRA AMA CHARLOT

Essendo Il monello il primo film che mostrava la povertà delle periferie, la lotta contro il potere costituito (il poliziotto, i funzionari statali) Charlot divenne l’idolo del riscatto sociale in particolare per gli intellettuali marxisti. A partire dal 1922 molti autori, soprattutto appartenenti alle diverse avanguardie storiche, dedicarono saggi, articoli, poesie, racconti, nonché soggetti cinematografici ispirati alla figura rivoluzionaria di Charlot. Dal dadaista surrealista Ivan Goll, al surrealista Gómez de la Serna; dai marxisti del poetismo ceco Karel Teige e Vítězslav Nezval agli eccentristi marxisti sovietici che, nel loro Manifesto scrivevano, “Il sedere di Charlot ci è più caro delle mani di Eleonora Duse!”. Dai letterati socialisti (Boško Tokin e Eugen Šarin) della rivista futurista jugoslava Zenit ai futuristi polacchi (Anatol Stern); dai surrealisti belgi come Henri Michaux ai marxisti francesi quali Jean Cocteau e Henri Poulaille (che gli dedica un lungo scenario). Lucia Joyce, figlia di James Joyce, nel 1924 scrive. “La foto di Charlie è sul mio tavolo. I suoi occhi intelligenti e tristi mi guardano mentre cerco di esprimervi la mia ammirazione per questo grande e piccolo comico […]”.

CHARLIE CHAPLIN SI COMMUOVE A ROMA

Nel 1952 Charlie Chaplin è invitato dal Centro Sperimentale di Cinematografia (C.S.C.) di Roma. Si organizza per lui una proiezione, affollatissima, di Ladri di biciclette di Vittorio de Sica, presente anche il regista italiano. “Dopo la proiezione – è il prezioso ricordo di Mario Verdone, consegnato a noi suoi studenti degli anni Settanta –  tutti escono. Nessuno ha visto Chaplin. De Sica, è preoccupato. Sembra un po’ nervoso. Si guarda intorno ed esitante rientra nella saletta di proiezione. Chaplin è ancora seduto al suo posto, si sta asciugando una lacrima”. Nel destino del piccolo figlio (Enzo Stajola) del disoccupato italiano (Lamberto Maggiorani), umiliato dalla folla per un tentativo di furto, rivedeva il dramma dei padri e dei bambini abbandonati dalla società, da lui raccontato trent’anni prima.

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