Di Maio in Giordania e Arabia Saudita. Dai rapporti dell’Italia con i Paesi del Golfo alla strategia di Roma in un Medio Oriente in movimento fino alla riconciliazione col Qatar. Un’analisi di grandangolo nella conversazione con Arturo Varvelli (European Council on Foreign Relations)
“Abbiamo discusso dei principali dossier regionali e ho confermato al ministro Ayman Safadi la profonda convergenza di vedute tra Italia e Giordania su molti temi”, ha detto il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, commentando la sua visita ad Amman, definita “un interlocutore di riferimento”. Dopo la cena di lavoro giordana, è partito alla volta di al Ula, città saudita nell’entroterra del Mar Rosso dove recentemente si è svolto il vertice del Consiglio della Cooperazione del Golfo in cui è stata decisa la fine dell’isolamento diplomatico che Riad, Abu Dhabi e altri Paesi del Golfo avevano imposto contro Doha nel giugno 2017. Di Maio ha incontrato sia il suo omologo, sia l’erede al trono Mohammed bin Salman.
La riconciliazione tra il Qatar e il resto del Golfo è uno dei grandi temi della politica internazionale attuale, e impone una riflessione anche per l’Italia, che ha con tutti i Paesi della regione rapporti di cooperazione e business. Il capo della Farnesina prima di partire per la doppia tappa mediorientale ha dichiarato che l’obiettivo del viaggio sarebbe stato “creare nuove opportunità di lavoro per le imprese italiane”, testimonianza che il pensiero con cui il leader grillino sta guidando la Farnesina è piuttosto centrato sul commercio estero – d’altronde il suo primo atto da responsabile del dicastero, secondo un’idea di “diplomazia economica” come la chiama, è stato proprio traferire le deleghe dal dipartimento del Mise.
Le dinamiche in movimento nel Medio Oriente allargato, dal Golfo al Nord Africa, forse richiedono però anche un coinvolgimento più politico, oppure l’Italia per adesso può continuare a muoversi secondo direttive di interessi poggiati sul quadro economico-commerciale? “Servirebbe una visione politica, ma in questo momento un po’ fatichiamo – risponde Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dell’Ecfr – però tutto sommato il viaggio è molto positivo e avviene con un timing molto buono”.
Varvelli fornisce a Formiche.net un’analisi di grandangolo e spiega che “c’è la continuità nel G20, dove prendiamo il testimone dai sauditi, che si fonde con quella dell’Expo” dietro a quel timing – l’Expo internazionale, che cinque anni fa l’Italia ha ospitato a Milano, quest’anno, rinviato a causa del Covid nel 2020, sarà ospitato a Dubai. “Forse – aggiunge Varvelli – noi stiamo un po’ sottovalutando ancora il peso del G20, perché onestamente escluso Silvio Berlusconi, non ho visto leader politici rimarcare l’importanza per la politica internazionale italiana di questo appuntamento”, (d’altronde Berlusconi ha spesso trovato sbocchi positivi per l’Italia in certe riunioni). Invece i sauditi, sottolinea, hanno mosso l’erede MbS anche per marcare questo passaggio di testimone, “qualcosa che può anche far pensare allo sviluppo di migliori relazioni” tra Roma e Riad.
Stando alla situazione generale italiana, la diplomazia commerciale è in fin dei conti un’ottima forma di aggancio alle dinamiche del Golfo, secondo il direttore dell’Ecfr, il quale ricorda che comunque il ministro Di Maio ha anche affrontato temi come la Libia durante il viaggio. Il dossier è di importanza primaria, oltre che simbolica, per la proiezione di politica estera italiana: “Non è facile ancora capire quale sarà la linea dei Paesi del Golfo su questo dossier, perché sappiamo che finora hanno avuto posizioni sui due fronti”, spiega Varvelli (finora gli Emirati hanno sostenuto i ribelli che volevano rovesciare il governo onusiano di Tripoli a cui il Qatar fornisce finanziamento attraverso il coinvolgimento della Turchia).
“Però – prosegue – mi sembra che l’Arabia Saudita, che esce certamente rafforzata dalla riconciliazione con Doha, sia interessata a portare pace all’interno del Consiglio di cooperazione del Golfo, e non dimentichiamoci che su dossier come la Libia ha avuto sempre una posizione più secondaria e meno lanciata degli emiratini”. Per Varvelli, la riconciliazione qatarina rappresenta una dinamica che faciliterà quei Paesi che immaginano il Medio Oriente come una regione in cerca di distensione, e non vedono un percorso conflittuale.
Sotto quest’ottica, l’Italia è tra quei Paesi favoriti: Roma ha spesso giocato un ruolo da pontiere, dialogante con tutti gli attori in campo. Una linea che attualmente è favorita proprio dall’interruzione – quanto meno formale – delle divisioni nel Golfo. “Certo – aggiunge il direttore del think tank paneuropeo – noi sul Golfo siamo un po’ indietro rispetto a paesi come la Francia, che ha un doppio asse, commerciale e politico, con cui ha provato a mettersi in vantaggio. Questo però ha fatto sì che Parigi si spostasse, anche troppo, dalla linea condivisa dall’Ue”.
Esposizioni come in Libia (con i francesi che per allinearsi con gli emiratini e gli egiziani hanno sostenuto le ambizioni militari dei ribelli della Cirenaica), o come con l’Egitto: “Il tappeto rosso concesso recentemente ad al Sisi non è piaciuto a molte cancellerie europee, non solo all’Italia”, commenta.
L’emersione di “nuove potenzialità” è per Varvelli connessa anche all’elezioni del presidente statunitense Joe Biden: “Gli Stati Uniti, sebbene sono un po’ meno coinvolti, hanno ancora la capacità di dare le carte. Stemperare le diversità all’interno del Golfo, sebbene ci siano sensibilità molto diverse; passare da posizioni più ideologiche a traiettorie più realistiche; è utile per quei paesi anche per prepararsi all’amministrazione democratica”.
È quello che su queste colonne è stato definito “l’effetto Biden“. Il ruolo della Casa Bianca è in effetti ancora centrale, e i cambiamenti in arrivo cruciali. Per esempio, la posizione fortemente anti-iraniana dell’amministrazione uscente ha determinato anche la linea seguita dal Golfo – in un mutuo interesse – ma sembra configurarsi una posizione più pragmatica: la linea intransigente non è stata troppo proficua, un passo avanti sarebbe il conflitto aperto, qualcosa che Biden non vuole assolutamente.
“A quanto pare ci troviamo forse davanti al preludio di un nuovo rapprochement generale nella regione, qualcosa che vede maggiori spazi anche per l’Europa e dunque per l’Italia”, chiude Varvelli.