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Conte crede di essere più forte. Il mosaico di Carlo Fusi

Conte è più debole nei numeri ma molto più forte nella leadership. La sua indispensabilità e inamovibilità da Palazzo Chigi esce conclamata dal doppio voto del Parlamento. Ma oggi Mattarella gli farà domande chiare. L’analisi dell’editorialista Carlo Fusi

Prima di interrogarsi sulle capacità del governo di andare avanti (le domande le farà oggi nel faccia a faccia al Quirinale il Capo dello Stato e Giuseppe Conte dovrà rispondere senza sbagliare), vale la pena spendere due parole sul dibattito e il voto finale del Senato. Inutile scandalizzarsi per il caos tutt’altro che calmo che gli italiani hanno potuto vedere in parte in diretta e in parte leggendo le cronache dei media.

I corridoi e l’emiciclo di palazzo Madama – con il corollario di intrighi, promesse, adulazioni, sollecitazioni e poi il giallo un po’ comico e un po’ (ma di più, molto di più) disarmante dei senatori che spariscono e poi ricompaiono fuori tempo massimo per votare e sono riammessi dalla presidente Casellati dopo la visione dei filmati che, insomma, neppure in una partita di calcio per non retrocedere – sono nient’altro che il fedelissimo specchio del Paese.

Di un’Italia confusa, impaurita, che usa furbizie, esprime vendette, medita salti della quaglia con chi ieri criticava e oggi adula. Una Nazione che ha perso il senso dell’appartenenza, che gode a dividersi e a sgambettare l’avversario vero o presunto poco importa, che vive cercando di sopravvivere.

E che alla fine, con un senso di cenere in bocca, si ritrova pari. Senza vincitori né vinti, senza identità spendibili in un senso o nell’altro. Paradossalmente verrebbe da dire che le energie ci sono, quel che manca sono le idee “ricostruttive”. E che De Gasperi, spesso citato a sproposito negli interventi sulla fiducia alla Camera o a palazzo Madama, ci perdoni.

Dove può arrivare questo sviluppo che ben avrebbe ispirato Hieronymus Bosh per la sua “Nave dei folli”? Impossibile dirlo. Sul tappeto ci sono urgenze che stroncherebbero una coalizione assai più coesa di quella che si è materializzata in queste ore e che è persuasa che senza le stoccate di Matteo Renzi può camminare più spedita e più unita.

Conte è più debole nei numeri ma molto più forte nella leadership. La sua indispensabilità e inamovibilità da Palazzo Chigi esce conclamata dal doppio voto del Parlamento. L’avvocato dei popolo sa che ora più che mai né Pd né i Cinquestelle possono fare a meno di lui o cercare di condizionarlo. Senza Conte si va dritti alle elezioni e, stando ai sondaggi, alla vittoria del centrodestra che si eleggerebbe anche il successore di Mattarella.

Nessuno dei partiti della maggioranza anela a un tale scenario da incubo. Soprattutto non lo vogliono i gruppi parlamentari, tutti indistintamente. E a proposito di centrodestra, questo alone misto di timore e convenienze che delle urne non vuole assolutamente sapere, gli impedisce di venir preso sul serio e dunque di entrare in partita. Anche loro dovranno rispondere alle domande del capo dello Stato oggi più che mai invocato: la risposta per forza di cose dovrà essere diversa dai lai lanciati anche in queste ore.

Ma il nodo vero resta il premier e la sua maggioranza. Reciso, almeno per ora, il legame con Italia Viva, il tentativo esplicitato da molti, Dario Franceschini in testa, è di agganciare centristi e moderati. Il che cambierebbe il segno politico dell’alleanza, e già questo minaccia di provocare fenomeni di rigetto al Nazareno. Ma più di tutto, proprio la fotografia del Senato dovrebbe indurre a più miti consigli. Le truppe centriste allo stato sono un coagulo frammentato e privo di unitarietà, anche procedurale.

La possibilità di attrarre Forza Italia nell’alveo della maggioranza cozza coi transfughi così tanto vezzeggiati e finalmente materializzati, ma che non possono non provocare l’irritazione del Cavaliere. Se poi questo disegno dovesse prendere le gambe di un partito di Conte, a farne le spese potrebbero essere proprio Pd e M5S. Col risultato di ridisegnare i rapporti di forza all’interno della stessa area e non di allargarne i confini.

Su tutto, pende la spada di Damocle del Next Generation Ue. Bisogna approntare piani credibili e attuabili e lì il guazzabuglio di palazzo Madama non può essere esportato a Bruxelles. Come pure è indispensabile e urgentissimo procedere col piano di vaccinazione a larghissima scala. Suturando la piaga delle scuole chiuse; lenendo la rabbia – espressione testuale del presidente del Consiglio – di quella larghissima fetta di italiani che attende non solo ristori ma prospettive di rilancio e ripresa dell’attività.

Tute cose da far tremare le vene ai polsi. Su di esse, Giuseppe Conte volteggia apparentemente tranquillo. Che dirgli? Buona fortuna. A lui e a noi.


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