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Conte si è dimesso. Cosa succede ora?

Davanti al concreto rischio di “andare sotto” sul voto previsto sulla giustizia in Senato, il Primo Ministro Conte ha deciso di dimettersi e andare dal Capo dello Stato a chiedere probabilmente un terzo mandato per valutare se c’è una maggioranza alternativa.

Sul senso di questa crisi – e sulla sua assoluta assurdità – ne ho scritto abbondantemente qua, nei giorni scorsi. Una crisi provocata dall’opportunismo di un leader decotto e da un partito che, consapevole della sua sempre più crescente irrilevanza nel paese, ha provato il tutto per tutto in Parlamento, dove i numeri gli attribuiscono una forza sproporzionata (e ingiustificata).

Si apre ora una fase di profonda incertezza e le opzioni in campo sono poche. Il Partito Democratico ha detto con forza e chiarezza no alla crisi di governo. Il voto dei giorni scorsi lo ha testimoniato: Italia Viva ha consumato uno strappo che ha di fatto compromesso la sua credibilità e affidabilità (non che ci fosse bisogno di una riprova…).

Renzi, dopo aver aperto la crisi, ha subito detto di essere disponibile a riprendere il dialogo. Di fatto una tattica per scaricare la responsabilità della fase successiva sugli altri, in particolare sul PD. Il PD non può e non deve farsi trascinare in questo gioco. Davanti a questa situazione deve dimostrare di essere  coraggioso e radicale nelle scelte, fermo come un Farinata e capace di rompere definitivamente i tatticismi di palazzo che stanno danneggiando il Paese.

Se Conte ottiene un terzo incarico – o chi per lui – dovrà essere trovata una maggioranza solida, ossia abbastanza ampia da poter garantire un governo al paese per il resto della legislatura (o per lo meno fino ad anno prossimo, visto che si dovrà ri-eleggere il Presidente della Repubblica). Questa maggioranza non può costituirsi, però, al di fuori degli equilibri dei gruppi eletti nel 2018. E qui è il grosso problema. M5S e PD devono essere insieme. Non c’è alternativa.

Se il PD avallasse un governo con Forza Italia (cosa improbabile, visto che il M5S direbbe di no, e giustamente) perderebbe credibilità e subirebbe certamente un altro danno d’immagine, che non si recupererà facilmente. Eppure è un’opzione in campo, pare. Questo è certamente il progetto di IV e Renzi: attirare Forza Italia e formare un terzo polo centrista di ispirazione liberale come sognava Berlusconi.

Lasciamolo ai suoi sogni.

Se il governo PD-M5S-LeU trovasse invece un appoggio da un terzo gruppo, centrista, ma non organico a Forza Italia e quindi alla destra, la cosa sarebbe diversa. Magari, e questo sarebbe strategicamente intelligente, spingendo per la spaccatura di Forza Italia, che al suo interno ha molto malcontento. Sarebbe certo un male necessario, niente da festeggiare, poiché sappiamo che il “centrismo” all’italiana è spesso reazionario, specie sui temi dei diritti, che sarebbero quasi certamente sacrificati sull’altare della stabilità.

Tuttavia, questa opzione sarebbe digeribile per l’elettorato del PD, del M5S e di LeU, anche perché annichilirebbe politicamente Renzi, definitivamente, che resterebbe all’opposizione, e butterebbe Forza Italia in basso, verso la sua dissoluzione.

Quanto questo sia realistico, non lo so. Ma è certo un’opzione.

Infine, la cosa che ormai penso sarebbe più giusta, sensata e responsabile, è il voto. Sì. Perché quando si apre una crisi, si fa di tutto per impedirla, si spiega che il tempo non è quello adatto, ma in Senato la scelta è quella di andare avanti e far saltare tutto, allora, non c’è molta alternativa: o accade qualche cosa come sopra detto, oppure, davanti a tanta incertezza, tanta mancanza di rispetto per le cittadine e i cittadini, l’opzione restante è quella delle urne.

Aprile o maggio? Non saprei. La pandemia imperversa, se nelle prossime settimane il trend della curva scende e si va verso un miglioramento diventa un’opzione praticabile. Si può pensare ad operazioni di voto diluite lungo più giorni, per garantire in sicurezza il voto. Si può pensare di allestire anche centri per il voto all’esterno. Non lo so: solo congetture.

Tuttavia, le cittadine e i cittadini hanno a questo punto il diritto di pronunciarsi: se elette ed eletti non sono all’altezza del ruolo, della responsabilità che hanno ricevuto, se danneggiano il bene pubblico, allora si deve tornare a dare la voce al popolo, che è sovrano. Così recita la nostra Costituzione. Il PD a quel punto dovrà essere fermo nelle sue posizioni: delineare un programma politico chiaro, comprensibile. Poca filosofia e molta pratica. Liste con persone di qualità e che abbiano a cuore il bene del paese e della comunità politica a cui appartengono. Ossia, che non si ripeta lo scempio del 2018. E, soprattutto, niente cedimenti imbarcando soggetti qua e là per racimolare voti, a spese della comunità politica.

Il mantra per cui “se votiamo vince la destra” non deve spaventare: certo, può vincere la destra. Ma non sta scritto sulla pietra, non è la parola di Dio. Si tratta di un’opzione come altre: può vincere anche il PD, se si dimostra capace di offrire un’alternativa, idee e progetti chiari e utili, se offre nomi di qualità che siano rappresentativi dell’impegno sui territori, delle competenze raccolte e maturate da attivisti, professionisti o esperti, ma non solo. Deve essere data rappresentanza a tutto il mondo della sinistra, allontanandosi dall’elitsmo degli ultimi anni, che ha danneggiato questo corpo politico in modo grave.

La politica, per me, è la dimensione del possibile: il futuro non è scritto sulla pietra, lo plasmiamo noi. Per questo facciamo politica. O per lo meno, così credevo.



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