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Conte: votate per me o vi porto tutti alle urne. L’analisi di Arditti

Roberto Arditti riassume la linea di Conte. Il discorso del premier alla Camera è stato molto chiaro. Tra la paura dei parlamentari di fronte a una crisi senza sbocco e l’ansia da stabilità che regna sovrana al Quirinale, ecco ben evidente il contesto in cui Conte può permettersi toni di sfida come raramente ne abbiamo sentiti in Aula

Il discorso del presidente del Consiglio può essere preso in molti modi, a seconda dell’inclinazione politica personale e del grado di simpatia verso il personaggio, ma non può certo essere tacciato di poca chiarezza.

Infatti con parole sferzanti e anche assai poco abituali per la politica italiana il premier sceglie nell’aula di Montecitorio una linea durissima contro Renzi e la sua formazione politica, una linea che però ha anche come destinatari “primari” le forze di maggioranza, cioè i soggetti destinati a votare a favore del governo nelle prossime ore.

Questa linea è così riassumibile: o votate per me o vi porto tutti alle urne. Semplice, drastico, vagamente minaccioso.
Questo il Conte di oggi in Parlamento, un professore – avvocato del popolo – primo ministro che ha piena consapevolezza della sua forza (pur relativa), ma che soprattutto ha ben chiara la debolezza altrui, una debolezza che riguarda tutti i convitati al tavolo della crisi di governo.

Ma dov’è la forza di Conte, di cui oggi abbiamo visto plastica dimostrazione?

È innanzitutto nel virus e nella condizione di emergenza in cui versa la nazione, che gli consente di bollare come “inspiegabile” la crisi di governo.

Ma è anche nel peso specifico che comunque lui e il suo team hanno ormai guadagnato, divenendo interlocutori spesso privi di alternativa per i soggetti organizzati italiani, stante la crisi devastante in cui versano tutte le forze politiche (compreso il Pd).

In cima alla piramide della “forza” però c’è proprio quest’ultimo aspetto, cioè la condizione degli altri attori in scena.
Guardiamoli un momento, per capirci meglio.

All’opposizione c’è innanzitutto Matteo Salvini, ancora il più forte nei consensi. Guida però una Lega in profondo ripensamento “ideologico” ed è ormai privo del tocco magico mostrato nelle elezioni regionali, come riscontrabile nei risultati di Emilia Romagna, Puglia e Toscana.

Poi c’è Giorgia Meloni, certamente la figura più in ascesa. Fratelli d’Italia però è debole in questo Parlamento e comunque sconta (come Salvini) un difficilissimo rapporto con l’establishment europeo.

Infine c’è Forza Italia che si pone sempre con toni diversi da quelli degli alleati, mostrando sì coerenza con la propria metà campo, ma anche voglia di smarcarsi appena possibile.

Sul lato della maggioranza c’è un Pd che mugugna contro Conte in ogni colloquio riservato, ma che poi in pubblico agisce da scudo stellare al premier, non fosse altro per il fatto che al Nazareno tutto si può fare tranne cha dare ragione a Renzi.

Poi c’è il M5S, in cui regna la confusione più assoluta. Giocoforza quindi stravince la linea “governista” di Luigi Di Maio (che pure ha con il premier un rapporto non esattamente idilliaco), anche perché l’alternativa (tipo Alessandro Di Battista) è roba buona per le serie minori.

Se a tutto ciò aggiungiamo la paura da febbre a quaranta che attanaglia i parlamentari di tutti i gruppi di fronte a una crisi senza sbocco e l’ansia da stabilità che regna sovrana al Quirinale, ecco ben evidente il contesto in cui Conte può permettersi toni di sfida come raramente ne abbiamo sentiti in Aula.

Anche perché il professore dispone dell’arma per la battaglia finale, un’arma alimentata dal suo consenso popolare che, pur essendo in calo, è ancora decisamente forte.

Egli infatti può contribuire in ogni momento all’entropia complessiva, facendo scivolare la situazione verso elezioni anticipate cui presentarsi alla guida di una forza autonoma che, male che vada, vale il 10/15 per cento.

Uno scenario che proprio nessuno vuole vedere realizzato, meno che meno il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

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