Il presidente emerito della Corte Costituzionale spiega il calendario della crisi. Conte può salire al Colle o andare direttamente in aula. Il voto? Meglio di un governo sfiduciato. E guai a considerare il semestre bianco una zattera di salvataggio
“La crisi del non fare”. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ribattezza così l’interminabile tiro alla fune del governo Conte-bis. “Una crisi a fuoco lento, un lungo logoramento” che assume tratti surreali, con un Paese sotto la pressa della pandemia.
Presidente, come se ne esce?
Difficile fare previsioni, dopo un mese di tentennamenti. Certo non si può continuare a vivere con misure pensate giorno per giorno, mentre un Paese subisce la pandemia e la crisi economica, intere categorie non possono lavorare, gli studenti non vanno a scuola. Un piano per la ripresa senza equilibrio, sottoposto a continue modifiche.
Il Colle cosa può fare?
Il Presidente Mattarella può indicare un percorso, non revocare un presidente del Consiglio. Può evitare che la crisi precipiti, ma non ha un potere di intrusione. È la fiducia del Parlamento che decide le sorti di Conte.
È vero secondo lei che il Quirinale teme una crisi?
Non sono nella mente del Presidente. Sicuramente il Colle ha manifestato l’esigenza di un’azione coesa in un momento critico per il Paese.
Cosa dice la prassi: in caso di crisi Conte deve salire al Colle o presentarsi alle Camere?
Questa è una scelta politica. Se il premier ritiene di avere ancora la fiducia in Parlamento verifica i numeri in aula. Ma può anche solo presentarsi per comunicare alle forze politiche che rimetterà il suo mandato nelle mani del Presidente della Repubblica.
È una crisi extra-parlamentare?
Ha preso questa piega. Qui non si tratta della fiducia apposta su un provvedimento ma di una continuità dell’azione di governo che si è spezzata. Bisogna ora capire come si può ricostruire quel vincolo di fiducia.
Cioè?
Il rimpasto di cui tutti parlano non è una semplice sostituzione di ministri. Si deve aprire un dibattito parlamentare per una nuova fiducia sulle esposizioni programmatiche.
In un caso o nell’altro, il Parlamento torna al centro, dopo mesi sugli spalti. O no?
È un esito paradossale. Nei momenti di crisi, ce lo ricorda il ben più grave assalto al Congresso americano, riscopriamo l’importanza delle istituzioni rappresentative. Dopo mesi di decreti legge e Dpcm, una legge di bilancio portata in Senato al penultimo giorno, una catena di atti amministrativi, finalmente il Parlamento riacquista centralità.
Chiudiamo con un cliché. Si dice spesso che, raggiunto il semestre bianco, la legislatura è blindata. È davvero così?
No, il semestre bianco non può essere visto come la zattera per un naufrago. È un congelamento volto a evitare strumentalizzazioni dell’elezione del Capo dello Stato. Immaginare questo periodo come un “traguardo” da superare è un errore. Il governo deve arrivarci in grado di gestire i problemi sul tappeto e con una solida fiducia parlamentare.
Altrimenti?
Altrimenti si può arrivare a chiudere la legislatura con un governo incaricato di gestire le elezioni, se non ricevesse la fiducia. È un enorme rischio, soprattutto in questa fase.
Meglio il voto?
A quel punto sì. Ma, ancora una volta, l’ultima parola spetta al Parlamento.