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Più debito nelle imprese. Il (vero) volto della pandemia secondo Confindustria

L’ondata di prestiti garantiti dallo Stato ha consentito alle aziende di sopravvivere ma ha anche alimentato il debito contratto verso le banche ed eroso la cassa residua. Ora non resta che allungare le scadenze

L’industria italiana ha un problema, un eccessivo debito verso le banche. La grande pandemia ha portato nelle casse delle imprese quei denari che sarebbero dovuti arrivare grazie alla normale attività, ma che invece hanno assunto le sembianze di prestiti bancari garantiti dallo Stato. Questo ha senza dubbio permesso a molte aziende di sopravvivere ma c’è anche il rovescio delle medaglia: più credito vuol dire anche più debito. Una criticità che non è certo sfuggita agli economisti del Centro Studi di Confindustria.

“Nel 2020”, hanno scritto in un report gli esperti coordinati e diretti da Stefano Manzocchi, “il credito bancario alle imprese italiane ha registrato un balzo (+7,4% annuo a ottobre), spinto dai prestiti emergenziali con garanzie pubbliche, arrivati oggi a circa 150 miliardi di euro. Questo strumento è servito per arginare la crisi di liquidità subita dalle imprese, causata dal crollo dei fatturati dovuto al lockdown e alle altre misure restrittive imposte dalla pandemia”. Bene, anzi no.

Tuttavia, in molti settori sia dell’industria che dei servizi “ciò ha accresciuto troppo il peso del debito, misurato in anni di cash flow generato dalle imprese. Nei servizi, in media, da 1,9 a 11,2 anni con il cash flow che si è bruscamente assottigliato nel 2020 e in alcuni casi è divenuto negativo (da 81 a -4 miliardi di euro nel totale del manifatturiero). Il semplice servizio del debito, nella situazione attuale, prosciuga le risorse interne disponibili”.

E non andrà meglio. L’indebitamento resterebbe infatti molto pesante anche nel 2021, dice Confindustria. “Nella situazione post-Covid, quindi, occorrerebbero 5,4 anni di cash flow nel manifatturiero per ripagare il debito, più del doppio dei 2,2 anni del 2019. In tutti i settori la situazione sarebbe peggiore, con un forte aumento del numero di anni necessari a ripagare il debito. L’onere per interessi si posizionerebbe in media al 10,0% del cash flow (pur nell’ipotesi molto prudente di un tasso stabile ai valori 2020), più del doppio rispetto al 4,4% pre-Covid. Gli interessi passivi supererebbero tale già elevata soglia nella metà dei settori, con punte oltre il 20%. Anche nei servizi, nonostante la parziale risalita del fatturato attesa nel 2021 (l’ipotesi è +8,0%, dopo -13,2%), il peso del debito resterebbe notevole: quasi 4 anni, da meno di 2 anni nel pre-crisi”.

Come uscirne? “Innanzitutto, è necessario consentire un allungamento del periodo di rimborso dei debiti di emergenza contratti nel 2020. Ciò al fine di allentare le tensioni finanziarie subite dalle imprese a seguito del maggiore indebitamento e liberare risorse per nuovi investimenti necessari per competere e svilupparsi”. Non è tutto.

In secondo luogo, in una prospettiva di più lungo periodo che guardi oltre la fase emergenziale e che punti alla ripresa e al rilancio del sistema produttivo, “la priorità è sostenere la crescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio della loro struttura finanziaria, attraverso una più ampia diversificazione delle fonti e una maggiore patrimonializzazione”.

Non c’è scelta. “Si tratta di interventi necessari per riprendere il percorso dell’irrobustimento dei bilanci osservato dal 2008 e che ha fatto un brusco balzo indietro nel 2020, così da rafforzare la capacità delle imprese di svilupparsi, innovare e competere sui mercati internazionali, assicurando di conseguenza la tenuta dei livelli occupazionali e preservando valore per il nostro Paese”.


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