I sauditi hanno spinto per la riconciliazione con il Qatar in vista dell’inizio della presidenza Biden, spiega Bianco (Ecfr). Ecco perché Riad ha interesse a migliorare la propria immagine a Washington DC con i democratici ma senza perdere le relazioni con i repubblicani
L’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, oggi 5 gennaio è all’incontro del Consiglio per la Cooperazione del Golfo (Gcc) che si tiene nei pressi di Al Ula, in Arabia Saudita.
È il tassello finale che alza di livello (politico e geopolitico) dell’annuncio sulla riapertura dei confini via terra, aria e mare con il Qatar, che metterà fine all’isolamento di Doha – in piedi dal giugno 2017. A dare l’informazione iniziale era stato il ministro degli Esteri del Kuwait, che ha avuto il ruolo di mediatore centrale, assieme agli Stati Uniti, per rivolere la disputa – nata formalmente perché Riad aveva accusato i qatarini di essere sponsor del terrorismo.
Al fondo delle ragioni dell’isolamento ci sono due tipologie di faglie intra-islamiche. La prima è quella che divide i regni sunniti del Golfo dalla Repubblica islamica sciita dell’Iran, con cui il Qatar ha necessari rapporti più aperti per varie ragioni strategiche, a cominciare dalla condivisione del giacimento gasifero North Dome/South Pars, il più grande del mondo.
La seconda è la divisione tra stati sunniti, col Qatar che si trova in asse di allineamento con la Turchia nella competizione contro l’Arabia Saudita per il ruolo di paese simbolo della corrente maggioritaria dell’Islam; con tutto ciò che comporta nell’interpretazione del rapporto religione/stato e nel confronto tra potenze regionali.
“Quello di cui si discuterà nel summit è lo stesso accordo che è sul tavolo dall’inizio di dicembre, che prevede la riapertura fisica dei confini attorno al Qatar: un meccanismo su cui i sauditi si impegnano di fornire coordinamento anche con Emirati Arabi e Bahrein”, spiega a Formiche.net Cinzia Bianco, esperta del Golfo dell’Ecfr.
“In cambio il Qatar promette un ammorbidimento significativo della copertura che viene fatta da tutti gli outlet di comunicazioni controllati da Doha sull’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman“. La partita di scambio è anche uno spaccato su quanto l’ambiente comunicativo sia fondamentale – ambito in cui si muovono operazioni informative, diffusione di notizie alterate, confronti psicologici.
Nell’accordo non ci rientra solo Al Jazeera, il potente network controllato dal governo qatarino (e dunque dall’emiro), ma anche siti minori ma piuttosto influenti, come Middle East Eye di Londra, e una fitta rete di think tank e di società di lobbisti attivi soprattutto a Washington.
Rete che fino a questo momento, su impulso del Qatar, ha lavorato contro MbS e l’Arabia Saudita, in ambienti come quelli di Capitol Hill, che recentemente hanno mostrato un po’ di stanchezza nel sostenere il regno – nonostante l’amministrazione Trump lo abbia elevato ad alleato primario e semi-personale del presidente, anche attraverso ai rapporti che il genero-in-chief, Jared Kushner, ha intrapreso con la corte dell’erede di Riad.
“Lo schema è chiaro: l’Arabia Saudita ha interesse primario nel cercare di ammorbidire la situazione attorno a sé, perché si sta preparando alla presidenza Biden, dove troverà una maggiore ostilità nei propri confronti legata alla percezione sia del presidente eletto e del suo team sia dei Democratici. Il cuore della questione è dunque cercare di interrompere l’offensiva mediatica che colpisce con costanza tutta la linea saudita”, aggiunte Bianco – che su queste colonne aveva già ragionato di un certo “effetto Biden” nel riapproccio nelle relazioni anche tra Riad e Ankara.
L’analista italiana basata all’ufficio Ecfr di Berlino spiega che l’iniziativa nei confronti del Qatar è partita dall’Arabia Saudita, sebbene il regno lasci ampio spazio alla diplomazia kuwaitiana e a quella americana (guidata proprio da Kushner, che partecipa alla riunione odierna) per evitare un contraccolpo interno: “Dovrebbero spiegare ai loro cittadini che dopo aver promosso la crisi nel 2017 ora sono loro a fare passi indietro, invertire la decisione e promuovere una riconciliazione col Qatar, e dunque per questo i sauditi acetano di stare in secondo piano”.
Per Riad come per Doha il riavvicinamento è solo una faccenda bilatarale, sebbene entrambi la vedano giocata anche nel quadro dei rapporti con Washington; differentemente il Kuwait s’è speso molto anche perché la pensa come un modo per riallineare le strategie e dunque dandole un valore regionale – “Il Kuwait è l’unico di quelli coinvolti in questa crisi che ragiona in certi termini”.
C’è poi un attore di cui poco si parla e che invece nelle dinamiche del Golfo ha un peso primario: gli Emirati Arabi Uniti, che hanno subito sposato la decisione saudita di tre anni fa e nel corso del tempo hanno dato vita a confronti con i qatarini piuttosto severi – come per esempio in Libia, dove Doha finanzia le operazioni turche a favore del governo Gna di Tripoli, mentre Abu Dhabi è il principale sostenitore dei ribelli dell’Est libico che vorrebbero prendere la capitale con le armi e rovesciare il governo onusiano.
“Gli Emirati, nonostante la retorica di supporto alla riconciliazione, rimangono fortemente contrari. Non ne vedono il senso strategico, anche perché considerano la Turchia (Qatar-linked) come principale rivale geopolitico, ma non possono permettersi di andare contro questo avvicinamento voluto anche dagli Stati Uniti. Immagino che in futuro saranno apparentemente supportive della situazione, ma sempre vigili nel mettere in risalto qualsiasi tipo di problematica per rendere più complicata la situazione”, spiega Bianco.
Mentre adesso – nei suoi ultimi giorni di presidenza – Donald Trump spinge la riconciliazione, nel 2017 era stato d’accordo nel sostenere l’isolamento diplomatico di Doha voluto dai sauditi, suscitando anche diverse critiche da parte delle strutture che ricordavano quanto il Qatar fosse importante per gli Usa (anche semplicemente perché ospita l’hub del comando regionale del Pentagono, il cruciale CentCom). Cosa succede? “Nel Golfo, come accennato, sta bene a tutti che l’amministrazione Trump si prende la vittoria diplomatica di tutto questo, anche se in fin dei conti si mette in risalto una strategia americana piuttosto confusa nella regione. Nessuno comunque a Riad o Abu Dhabi intende tagliare di colpi i rapporti con i Repubblicani. Anzi”.
(Foto: cattura-video dell’accoglienza saudita alla delegazione qatarina)