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La crisi politica ha un costo. A Roma lo sanno? Scrive Polillo

La situazione politica italiana è sempre più insostenibile per questo i timori di Moody’s non devono stupire. Ora bisogna fare in fretta o qualcuno ne pagherà il conto. Tipo le banche

Con il passare dei giorni, la situazione politica italiana diventa sempre più insostenibile. Siamo ormai giunti ad una sorta di cambiamento di paradigma. In passato, nel rispetto delle buone norme costituzionali, il governo era figlio della maggioranza parlamentare.

Oggi, invece, un presidente del Consiglio double-face, visti i precedenti, si sceglie la sua maggioranza. E quando quest’ultima latita, si adopera per farla nascere, come Venere dalla spuma del mare, ricorrendo alle nobili arti della seduzione. Più che della persuasione.

Fino a quando il Presidente della Repubblica potrà mostrare pazienza? Esercizio nobile, ma in una dimensione temporale, che non può dilatarsi oltre misura. In Parlamento Giuseppe Conte non ha la maggioranza. L’ha risicata alla Camera dei Deputati, mentre è scoperto al Senato. Quei 156 voti ottenuti, al termine delle sue dichiarazioni, dopo le dimissioni dei ministri di Italia Viva, l’hanno mantenuto in vita. Ma si è trattato di una semplice boccata d’ossigeno, del tutto insufficiente per la normale maratona, che caratterizza a normale attività parlamentare. Una contraddizione evidente che il Colle non potrà a lungo sopportare.

Bisogna partire da qui per capire il crescente nervosismo dei mercati, di cui Moody’s si è fatto interprete, lanciando un primo grido d’allarme, dopo che Bloomberg, il giorno precedente, non aveva risparmiato critiche nei confronti della Commissione europea e della Bce. Al centro dello sconcerto, il caso italiano: cartina al tornasole di una politica più generale, che non riesce ad aggredire i problemi veri dell’intera Eurozona. Fin troppo solerte nel distribuire risorse che difficilmente produrranno quei cambiamenti, nei meccanismi allocativi, che sarebbero necessari. Leggasi: investimenti, riduzione del perimetro pubblico, riforme varie. Per l’Italia dalla giustizia a quella fiscale.

“È un fatto, – scrive l’agenzia di stampa newyorchese – che l’Italia figuri tra i Paesi che più hanno beneficiato delle misure di supporto varate da Bruxelles: la scorpacciata di obbligazioni da parte della Bce ha infatti portato i rendimenti dei bond italiani ai minimi storici e, inoltre, il governo italiano ha messo le mani sulla fetta più grande dei fondi europei per la ripresa (209 miliardi di euro, tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto)”. Tutto questo ha alimentato forme di moral hazard, spingendo le stesse forze politiche a dividersi e scontrarsi per la gestione di quel bottino. Valutazione non proprio edificante.

Moody’s si muove sulla stessa lunghezza d’onda. Vede la crisi, ed il resto non interessa. Non si cura, pertanto, di stabilire torti e ragioni. Ritiene, in proposito, che, comunque vada la situazione, sarà difficile all’Italia trovare un’intesa decente su come utilizzare i fondi del Recovery Fund. Lo schema approntato, nonostante le modifiche apportate, ma che sono costate appunto la crisi di governo, ancora non convince.

Nel periodo 2014–2019 il tasso di assorbimento dei fondi strutturali dell’Ue – ricorda impietosamente l’Agenzia di rating – “è stato debole”, circa il 39%. Tutto questo nonostante gli avvicendamenti al Governo di diversi esecutivi. E non si trattava, certo, di importi paragonabili a quelli della Next generation Ue. Quali possono essere allora le garanzie che non si verifichi un nuovo fallimento? Il carattere Stato-centrico del documento, fin qui elaborato? La sua curvatura più congiunturale che strutturale?

Troppa diffidenza: si potrebbe dire, se l’evoluzione dell’economia nazionale non fosse quella che appare. Ma sono questi andamenti che si sommano a quelli della crisi politica e determinano un vero e proprio corto circuito. Finora la caduta del Pil, secondo le indicazioni dell’Istat, è stata pari all’8,3 per cento (variazione acquisita alla fine del terzo trimestre). Sebbene con mille cautele, la Banca d’Italia stima quella del quarto trimestre in un ulteriore calo del 3,5 per cento.

Chiuderemo, pertanto, l’anno con una perdita intorno al 9,2 per cento. Contro il 9 per cento previsto dalla Nadef. Uno scarto limitato – si potrebbe dire – se non fosse che quel 9,2 per cento è figlio più di un effetto statistico, che non della realtà. Deriva dal fatto che la caduta del Pil dell’ultimo trimestre del 2019 (meno 0,3 per cento) fu la più elevata del quinquennio precedente. Contribuì, allora, a ridurre il ritmo di crescita dell’intero anno ad un modesto 0,3 per cento. Mentre oggi garantisce una piccola rivincita.

Basterà per produrre sui mercati un effetto placebo? Al momento sembra di no. Lo dimostra l’andamento degli spread, che dopo la calma dei giorni precedenti, rialza la testa. Passato dalla vigilia della crisi a ieri da 106,4 a 125 punti base, nei confronti del Bund tedesco. Con un rialzo di oltre il 17 per cento. Per carità: nulla di preoccupante. Le previsioni parlano, infatti di un possibile range tra 100 e 150 punti base. Ma comunque gli effetti, già, si sentono. Si prenda il caso del Btp Futura, con scadenza ad 8 anni. Il titolo, come si ricorderà, era riservato al retail: al piccolo investitore ancora fiducioso nelle sorti del Paese.

Lo scorso 28 dicembre valeva 101,89 ieri ha chiuso a 100.20. Ancora leggermente sopra alla pari, grazie al tiraggio indiretto della Bce (le critiche di Bloomberg); ma fino a quando potrà durare? Gli economisti della Lega, fino a qualche giorno fa, non avevano dubbi. L’Europa era un’inutile, quanto pericolosa, entità. Piuttosto che prendere a prestito denari da Bruxelles o da Francoforte era meglio far affidamento sul buon cuore degli italiani. Emettendo titoli di stato. A parte il fatto che questo è stato fatto in misura massiccia.

La Banca d’Italia calcola che nei primi sei mesi del 2020, l’emissione ha fatto aumentare di oltre 30 miliardi il debito pubblico italiano, rispetto all’andamento del solo deficit di bilancio. In altre parole, il Tesoro ha fatto cassa, temendo tempi più duri. Ma se gli spread continueranno ad aumentare, chi ha avuto fiducia nello Stato italiano – soprattutto le banche – non brinderà a champagne. Ma sarà costretto a conteggiare le perdite, dovute al deprezzamento dei titoli posseduti. E che non si tratti di pochi spiccioli è dimostrato dalla dimensione di quella montagna: 158 per cento del Pil, secondo i documenti governativi. Chi deve, come si dice a Roma, dovrebbe, quindi, darsi una mossa.

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