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Crisi di governo? L’Ue ci osserva (e anche il Quirinale…). Parla Folli

“L’Europa non può pensare che l’Italia, Paese di importanza ancora cruciale nell’Ue, venga affidata ad un governo debole, fragile e dalla maggioranza parlamentare un po’ casuale”. La versione dell’editorialista di Repubblica Stefano Folli a Formiche.net

L’Ue e non il trittico delle richieste renziane (Recovery, servizi e rimpastino) è il vero tema che potrebbe determinare la soluzione della crisi di governo.

Ne è convinto Stefano Folli, editorialista di Repubblica e già direttore del Sole 24 Ore, che analizza con Formiche.net lo stato delle cose non solo tra Palazzo Chigi e i gruppi parlamentari, ma anche tra l’inner circle del premier e quella governance europea rappresenta dai dem Gentiloni e Sassoli. E al destracentro dice che…

Recovery, servizi e rimpastino: saranno solo questi tre temi a decidere la crisi?

Non credo molto al rimpastino, al punto in cui siamo mi sembra si sia aperta una partita molto più ampia che vada al di là del dissenso pur profondo tra Conte e Renzi, che pesa non poco. Ognuno aspira ad occupare un certo spazio politico concorrenziale con l’altro. Ma vedo un elemento in più rispetto a questo quadro.

Quale?

C’è un interlocutore in questa vicenda che non sempre viene considerato, ed è l’Europa, che sta guardando con molta preoccupazione a ciò che accade in Italia. Vede che il Recovery Plan non prende forma, osserva che la forma che prende è sub judice con moltissimi aspetti ancora da chiarire come la gestione dei fondi e le tendenze assistenzialiste tipiche del nostro Paese. Tutto ciò è un aspetto che non si può esplicitare, ma che pesa moltissimo nel definire l’equilibrio che ci dovrà governare nel prossimo anno. L’Europa infatti non può pensare che l’Italia, Paese di importanza ancora cruciale nell’Ue, venga affidata ad un governo debole, fragile e dalla maggioranza parlamentare un po’ casuale.

Come potrà Bruxelles influire sui nostri eventi?

Ci sono parecchi modi. Intanto ci ha inviato già dei moniti piuttosto chiari, uno per il tramite del Commissario europeo Paolo Gentiloni, assieme ad altre iniziative intraprese, alcune anche riservate. Per cui al di là del rimpastino e delle piccole beghe nostrane credo che l’aspetto europeo vada assolutamente considerato.

Il Pd, che in Europa esprime non solo il commissario Gentiloni ma anche il presidente del Parlamento Sassoli, come potrebbe stimolare Chigi a fare meglio?

Il Pd potrebbe influire in maniera più decisa. Quando Nicola Zingaretti con il suo modo felpato dice che il premier deve agire, rimproverandogli l’immobilismo e lo stare appiccicato alla poltrona senza avere un’iniziativa che non sia il timore che qualcuno gli sottragga la gestione del Recovery, dà corpo alle preoccupazioni che ho citato prima. Va bene la stabilità, ma se essa coincide con l’immobilismo o addirittura con la prospettiva di una cattiva gestione dei fondi, beh non è compatibile con lo stato dell’Europa di oggi. L’Ue quindi è il vero tema che secondo me potrebbe determinare la soluzione della crisi.

Quali sono, al di là delle accuse di Renzi, gli errori commessi da Conte che preoccupano il Colle?

Il fatto che non si veda una direzione di marcia decisa e determinata: mi sembra che Conte non riesca a far marciare la sua maggioranza, né a tenerla unita su punti e scelte precise. Dov’è la sintesi? Se l’iniziativa del premier si riduce ad andare in Parlamento per cercare i voti dei responsabili, allora non ci siamo proprio. Il Quirinale è alquanto perplesso della piega che stanno prendendo le cose; fino ad ora ha sempre sostenuto il governo in modo leale, ma si attende dei risultati. Su questo Mattarella, col suo stile mai invasivo, è sempre stato molto chiaro: c’è una tendenza al rinvio sostanziale che è abbastanza preoccupante.

L’ha sorpresa la difesa del premier fatta da Massimo D’Alema?

No, perché conosco rapporti di stima tra i due. Mi domando se il metro della popolarità sia il più giusto oggi per valutare un uomo politico.

La Lega è ancora prigioniera della crisi che ha portato al Conte 2 o vede dei segnali verso la linea di Giorgetti?

Ci sono piccoli segnali oggettivi. Credo che Salvini si renda conto di essere finito in un angolo e per uscirne ha solo una strada da seguire: quella di Giorgetti. Il nodo è se ci sono margini effettivi per far marciare l’ipotesi di un governo con una maggioranza allargata, qualcosa che si avvicini ad un governo di unità nazionale. Ho molto condiviso la tesi espressa da Luciano Violante, secondo cui visto che i progetti del Recovery si spingeranno oltre il 2023, quando potrebbe esserci verosimilmente una maggioranza diversa, allora galateo istituzionale vorrebbe che si coinvolgessero sin da ora le opposizioni nel Plan. Questo discorso non può non essere tenuto in conto da Salvini.

Cosa occorre però al destracentro per maturare in chiave-governo?

Se la Lega aspira ad avere una prospettiva, in una situazione in cui la fase post Covid sarà determinata dall’impiego di questi fondi, come può pensare di farsi escludere da tale passaggio? Le opposizioni possono sì pensare di vincere le elezioni, ma in quel caso si troverebbero a gestire una piattaforma di Recovery scelta da altri. Quindi logica vorrebbe che vi fosse una qualche forma di solidarietà nazionale già da ora: sarebbe inoltre un modo intelligente per uscire da questo imbuto.

Il rimpasto così come si mormora in queste ore non risolverebbe alla radice il problema, dunque?

Il rimpastino, con dimissioni formali del premier, accanto ad una riedizione della maggioranza attuale, non sarebbe una gran soluzione. Ma è anche vero che al momento non esistono alternative a questa maggioranza. Per cui ciò che un leader di centrodestra dovrebbe fare è provare ad immaginare la profilatura di una maggioranza diversa che, senza elezioni, può solo essere nel segno di una concordia nazionale.

In quel caso l’unico tasto da spingere sarebbe quello di Draghi?

Naturalmente è un nome che rientra in tutte queste analisi, ma onestamente non so se sia plausibile in un contesto del genere. Si dovrebbe immaginare un grande sforzo di unità nazionale garantito dal Quirinale, per un verso, e dalla responsabilità delle forze politiche, per l’altro. Solo alla fine di quel percorso di costruzione di un sentiero politico virtuoso si potrebbe eventualmente coinvolgerlo.

Come potrà il quadro migliorare se si va incontro ad una legge di tipo proporzionale, che favorisce la frammentazione e quindi la possibile “ricattabilità” delle presenti e future maggioranze?

Questo è vero ma non siamo ancora arrivati ufficialmente ad un punto di svolta. In ogni caso ci sono Paesi dotati di leggi proporzionali che in momenti come questo trovano un punto di concordia, come Israele e Germania.

Al netto delle differenze “tecniche”, quale la vera particolarità della crisi politica di oggi rispetto a quella del 2011?

La differenza principale, mi spiace dirlo, è che dal 2011 ad oggi il sistema politico italiano si è sfasciato. I partiti si sono svuotati e c’è stato il fenomeno dei Cinque Stelle che si è risolto in una situazione di grande frammentazione. Mi pare che nove anni fa ci fosse più consapevolezza e capacità di controllare la situazione, mentre oggi vedo solo la volontà di sopravvivere: segno di un declino molto grave del sistema.

twitter@FDepalo

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