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Afghanistan. La visita di Guerini e la prova per la Nato

Nel giorno dell’esplosione che ha coinvolto un veicolo dell’ambasciata italiana, il ministro della Difesa è atterrato in Afghanistan per l’avvicendamento al cuore della partecipazione nazionale alla missione Nato Resolute Support. Il dossier sarà al centro del vertice dell’Alleanza Atlantica tra poche settimane, il primo con Austin, nuovo capo del Pentagono

Nel giorno dell’attentato a Kabul in cui è stato colpito un suv dell’ambasciata italiana, il ministro Lorenzo Guerini è arrivato a Herat per assistere, domani, all’avvicendamento tra le brigate Julia e Folgore nell’ambito dell’impegno italiano con la missione Nato Resolute Support. La visita arriva in un momento delicato per l’Afghanistan, tra gli attentati ormai quotidiani ad opera dei talebani e i negoziati di pace che appaiono arenati. Il dossier sarà in cima all’agenda del vertice di febbraio tra i ministri della Difesa della Nato, il primo a cui prenderà parte il generale Lloyd Austin, nuovo capo del Pentagono. Ancora prima (dopodomani) si riuniranno i capi di Stato maggiore della Difesa, con Resolute Support al primo punto dell’incontro. C’è attesa sulla posizione che la nuova amministrazione americana assumerà sul dossier.

L’ATTENTATO

Intanto, i riflettori si sono accesi oggi su Kabul, dove ormai le esplosioni sono più che quotidiane. Nella prima mattina italiana, ad essere colpito è stato un suv impiegato come navetta dall’ambasciata italiana. A bordo non c’erano italiani, ma due afghani, uno dei quali è rimasto lievemente ferito. A provocare l’esplosione sarebbe stata un’autobomba, mentre ancora non ci sarebbero rivendicazioni dell’attacco. “Condanniamo con decisione ogni atto di violenza – ha spiegato Guerini – gli attacchi che colpiscono membri delle istituzioni e il popolo afgano non possono vincere sul fine ultimo di avere un Afghanistan sovrano, unito e democratico”.

LA MISSIONE

Il nostro Paese dispiega in Afghanistan un contingente di circa 800 militari, concentrato per lo più nella provincia di Herat, nell’ambito della missione Resolute Support della Nato, quella che ha preso in carico l’eredità di Isaf, l’impegno scattato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Cuore della presenza italiana è il Train advise assist command West (Taac-W) con base a Camp Arena, dedicato alle attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni e delle Forze di sicurezza locali concentrate nella regione ovest (qui un focus sulle attività dei militari italiani). A Camp Arena è atterrato oggi il ministro Guerini, per assistere domani all’avvicendamento tra la Brigata alpina Julia e la Brigata paracadutisti Folgore in qualità di “multinational land force”.

LA SITUAZIONE

“In questi ultimi anni l’Afghanistan si è avviato verso la ricostruzione, ma il terrorismo resta una minaccia diffusa e gli attacchi che colpiscono le istituzioni del Paese, le forze di sicurezza locali e la popolazione ne sono la tragica testimonianza”, ha notato Guerini. “Una delle lezioni più importanti che abbiamo imparato in questi anni – aggiunto – è che una pace durevole non può essere imposta, ma deve nascere e svilupparsi attraverso un processo politico, economico e diplomatico condiviso”. Per questo, “è necessario proteggere e non disperdere i risultati raggiunti in questi vent’anni con elevati sacrifici, anche in termini di vite umane”. In altre parole, ha rimarcato, “la nostra posizione non è cambiata: rimarremo nel Paese, insieme agli alleati, fin quando sarà necessario e fin quando le istituzioni e il popolo afgano ce lo chiederanno, nel pieno rispetto degli impegni assunti”.

LA LINEA ITALIANA

Di fronte all’incertezza sul futuro del Paese, la linea italiana resta dunque fedele a quanto concordato in ambito Nato. Lo stesso Guerini lo ricordava a novembre, all’indomani dell’ufficializzazione da parte degli Stati Uniti di una riduzione del contingente americano da 4.500 a 2.500 unità. “L’Italia continuerà a fare la propria parte”, spiegava il titolare di palazzo Baracchini dopo i colloqui, poche ore prima, con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e dopo le rassicurazioni dagli Usa sul mantenimento inalterato della “presenza delle strutture abilitanti, soprattutto dal punto di vista dell’aviazione ad ala fissa e ala rotante e di mantenere inalterato il sostegno di strutture e assetti provenienti al di fuori dell’Afghanistan, come ad esempio la base americana in Qatar”.

LA PROVA PER LA NATO

Il dossier è tra le prime sfide per il 2021 della Nato. Lo ha riconosciuto lo stesso Stoltenberg intervenendo, a inizio gennaio, di fronte ai parlamentari tedeschi della Csu. “Sarà un anno di decisioni per l’Afghanistan”, ha spiegato, ribadendo la linea di “in together, out together, adjust together”, cioè di un ritiro deciso di comune accordo tra gli alleati, e comunque condizionato ai negoziati di pace intra-afgani. Negoziati su cui si registrano molteplici difficoltà, come spiegato su queste colonne da Simone Nella, analista militare, già consigliere politico e culturale del vice comandante di Resolute Support. “Ci sono molte sfide e molte incertezze – notava Stoltenberg – ma di cerco il dialogo è l’unica strada per la pace e l’unico modo per una soluzione pacifica e negoziata”. Occhi puntati sugli attentati dei talebani, ormai quotidiani, che non facilitano il proseguo dei negoziati.

LA SFIDA STRATUNITENSE

L’Afghanistan sarà tra i primi punti dell’agenda Nato di febbraio, quando i ministri della Difesa si riuniranno con il nuovo capo del Pentagono, il generale Lloyd Austin, fresco di insediamento al dipartimento americano. La prima chiamata da segretario Austin l’ha avuto proprio con Stoltenberg, segnale del desiderio espresso più volte dallo stesso Joe Biden: ricostruire la fiducia tra le due sponde dell’Atlantico. Ciò riguarda anche l’Afghanistan, per cui la riduzione del contingente americano a 2.500 unità, nei giorni dell’insediamento della nuova amministrazione Usa, può essere considerata tra gli ultimi colpi di coda di Donald Trump. Sul tema Austin ha fatto un rapido passaggio durante l’audizione in Senato per la conferma della sua nomina: “Vorrei che questo conflitto finisse con una soluzione negoziata”. D’altra parte, nonostante la promessa di dialogo con alleati e partner, anche Biden aveva fatto capire di voler terminare gli impegni all’estero “senza fine”. Austin ha notato che l’impegno potrebbe essere rimodulato, magari “concentrandosi sulle operazioni di antiterrorismo”.



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