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Il partito di Conte vale tra il 15 e il 17%. I numeri sorprendenti di Swg

Il risultato emerso dal sondaggio è un successo (momentaneo e virtuale fin che si vuole) per il premier. Che “ruberebbe” il 9% ai partiti che lo sostengono. L’analisi di Roberto Arditti, presidente di Kratesis

Ci sono i numeri della fiducia in Parlamento e ci sono i numeri del consenso fuori dai sacri palazzi.

Sono numeri tutti importanti ma dal sapore diverso, anche se, alla fine, gli uni e gli altri si legano indissolubilmente.

Ecco perché occorre guardarli tutti questi numeri, perché solo così facendo si coglie il senso di quanto sta accadendo e, soprattutto, di quale sembra essere la strategia del Presidente del Consiglio.

Ecco allora che dopo il voto del Senato che ha dato 156 “sì” al governo arriva anche il responso degli italiani, attraverso un lavoro SWG per il Tg di Enrico Mentana tutto dedicato al possibile consenso di una formazione politica guidata dal premier, formazione politica che allo stato non c’è ma che nessuno può escludere sia in formazione.

 

C’è poco da dire in verità. Questa “forchetta” tra il 15 e il 17 per cento è indubitabile successo (momentaneo e virtuale fin che si vuole) per il premier, che vede eroso il consenso nelle aule parlamentari ma dimostra un deciso vigore nelle opinioni degli italiani.

Ciò rappresenta già di per sé un fatto di sicuro interesse, che però viene amplificato dai dati di provenienza di questo consenso, capaci di certificare in primo luogo che Conte, oggi come oggi, può pescare in modo significativo nell’area del non voto ed inoltre che è in grado di assegnare una vera e propria “sberla” elettorale a PD e M5S, come si vede ancor meglio in quest’altra slide, dove abbiamo a confronto i risultati di tutti i partiti nel caso di discesa in campo del capo del governo.

Passiamo allora dai numeri ai ragionamenti, che naturalmente possono spaziare in molte direzioni.

Vi sono però almeno tre evidenze su cui c’è poco da discutere, evidenze che stanno già pesando in queste ore.

La prima è che Conte ha ben chiaro che per giocare un ruolo da protagonista deve restare a Palazzo Chigi, ragione per cui ha respinto brutalmente ogni ipotesi di apertura formale della crisi di governo, chiudendo tutti gli spazi di dialogo con Matteo Renzi.

Già perché, in buona sostanza, l’atteggiamento del premier in questi giorni è stato molto semplice ed improntato ad un chiaro messaggio: sostenetemi o vi porto tutti alle urne (forte della consapevolezza dei propri consensi).

 

 

 

In secondo luogo c’è l’evidenza del “danno” elettorale che Conte può provocare ai suoi alleati, ragione per cui tanto il PD quanto il M5S debbono stare molto attenti nell’uso alternato di freno e acceleratore.

Infine c’è la capacità di recuperare “nuovi” voti, che nei dati SWG appare assai forte, al punto da rendere la coalizione attualmente al governo in grado di battere quella di centro-destra (o quanto meno di giocarsela senza troppa sudditanza), immaginando una distribuzione equilibrata degli incerti.

Mettiamola così: chi aveva un dubbio sul perché il premier ha picchiato duro in questi giorni (anche verso gli alleati) adesso può trovare una risposta di un certo peso.

Basterà per restare a Palazzo Chigi?

Non è detto, perché (nei palazzi) quelli d’accordo con Renzi sono più numerosi di quelli che lo dicono in pubblico.

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