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Niente primule ma un milione di vaccini. Il modello Israele

Israele ha raggiunto quota un milione di vaccinati. Ecco come funziona il suo sistema e perché la corsa all’immunizzazione può aiutare il premier Netanyahu nelle urne

“Provo una emozione grande”, ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu incontrando ieri il milionesimo vaccino anti Covid-19 del Paese nella cittadina araba di Umm El Fahem, nel Nord del Paese. “Ci siamo procurati milioni di dosi, abbiamo preceduto il mondo intero e procediamo ad alta velocità per immunizzare l’intera popolazione, per salvare vite umane”.

Altro che primule. Nella battaglia al Covid Israele corre più del resto del mondo: ha già superato il 10% della popolazione immunizzata con la prima dose del vaccino, vale a dire un milione di persone su poco più di 9 milioni di abitanti.

Un primato che gli israeliani, ma anche il premier, non possono che apprezzare in vista delle elezioni di marzo. Il Paese, ricorda l’Ansa, ha chiuso un contratto con la Pfizer per una massiccia fornitura iniziale: tra i 4 e i 6 milioni di dosi, secondo i media. Inoltre, sottolineano gli analisti, con una popolazione limitata, una zona geografica omogena, un moderno sistema sanitario pubblico, in larga parte digitalizzato, il Paese ha le caratteristiche di un laboratorio perfetto dove sperimentare una vaccinazione di massa. Non va dimenticato anche un dato economico che il governo non ha certo ignorato: prima il Paese uscirà dalla pandemia e prima il sistema produttivo e sociale si rimetterà in moto. Il processo della prima fase è stato talmente veloce che a metà gennaio il ministero della Sanità per precauzione sospenderà per due settimane le nuove vaccinazioni in modo da assicurare la seconda dose a quelli già immunizzati. Poi, secondo le previsioni, la corsa riprenderà: a febbraio arriveranno 3-4 milioni di dosi e altre dopo.

L’obiettivo è appunto un altro record: fare di Israele entro la fine di marzo il primo Paese al mondo ad essere del tutto immunizzato. “Quel giorno”, ha affermato il ministro della Sanità Yuli Edelstein, diremo ‘hasta la vista, coronavirus’”.

Come ha spiegato alcuni giorni fa a Formiche.net Yaakov Peri, direttore dello Shin Bet dal 1988 al 1995, la forza di Israele sta nel tempismo, nel collaborazione fra privati e governo e nel ruolo dei servizi segreti. “Le due agenzie sono state molto attive fin dall’inizio della pandemia. Netanyahu ha chiesto al Mossad di comprare i respiratori per gli ospedali, obiettivo raggiunto in tempi brevi”, ha spiegato. “Allo Shin Bet invece è stato affidato il sistema di monitoraggio dei contagi, la rilevazione, attraverso le cellule telefoniche, degli spostamenti di chi è stato contagiato. Una soluzione che si è dimostrata efficace ma ha provocato polemiche, anche all’interno dell’agenzia, sull’opportunità di usare per scopi civili una tecnologia utilizzata per stanare i terroristi”, ha aggiunto.

Lo stesso Peri, ex ministro ed ex parlamentare della formazione centrista Yesh Atid, riconosce che l’impatto elettorale della corsa di Israele all’immunizzazione: “Il premier si è preso su di sé il compito di importare le dosi del vaccino. Sicuramente il successo della missione gli darà un vantaggio alle elezioni generali del 23 marzo, le quarte in due anni”.

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