Skip to main content

Meloni finisce in frigorifero. Il mosaico di Fusi

Fratelli d’Italia rischia di fare come il suo “avo”, il Movimento Sociale Italiano, che negli anni ’60 e ’70 conquistava voti condannati a restare inutilizzati perché gli avversari non li ritenevano degni di partecipare alle istituzioni democratiche. Giorgia Meloni si dice “responsabile” ma è l’unica che invoca le urne invece di mettere il suo consenso al servizio del Paese

Per chi ha i capelli grigi o li ha proprio persi, è agevole ricordare lo scenario politico dell’inizio degli anni ‘70: gli opposti estremismi, l’arco costituzionale, il frigorifero della destra. Già perché a quell’epoca la destra era il Msi di Arturo Michelini prima e Giorgio Almirante poi, quella che a dicembre del 1971 aveva fatto eleggere con i suoi voti determinanti Giovanni Leone capo dello Stato e cinque mesi dopo, alle elezioni politiche del maggio 1972, aveva praticamente raddoppiato la sua rappresentanza parlamentare arrivando in taluni casi a sfiorare il 9 per cento.

Erano gli anni segnati dal movimento del ‘68 e dagli esordi del terrorismo che considerava l’assassinio degli avversari una modalità politica: tragica e criminale aberrazione che spaventava la “maggioranza silenziosa” e non solo.

Tuttavia quei successi, quelle avanzate elettorali non producevano nulla: il Msi era politicamente impraticabile, fuori dai giochi, intriso di rimasugli dell’ideologia fascista, coi busti di Mussolini nelle sezioni e i saluti romani nelle manifestazioni, ostracizzato da tutti gli altri. Per cui qualunque percentuale raggiungesse, i suoi voti finivano “in frigorifero”: inutilizzabili e inutili, come accusavano gli avversari, alcuni dei quali raccoglievano addirittura le firme per mettere il Msi fuorilegge.

La svolta, come tutti sanno, arrivò più di vent’anni dopo a Fiuggi, quando Gianfranco Fini varò Alleanza Nazionale spiegando che An era figlia della cultura di Dante e Machiavelli e perfino di Gramsci, e l’antifascismo “momento storicamente essenziale” per il ripristino dei valori democratici. Oltre la conversione ideologica, il dato politico più significativo non fu lo sdoganamento ad opera di Silvio Berlusconi bensì la vittoria di Silvano Moffa alla Provincia di Roma contro Pasqualina Napolitano: la prima volta di un ex Msi.

Era nata la”destra di governo”.

La lunga premessa serve a dire che Giorgia Meloni, le cui radici affondano in quel mondo e che oggi guida una forza politica in tumultuosa crescita nei sondaggi, rischia di ricalcare le orme del passato però a ritroso: da destra di governo a destra in frigorifero.

La linea tenacemente perseguita delle “urne o niente”, infatti, non solo la isola dal resto del centrodestra (e infatti ha minacciato di andare da sola alle consultazioni al Quirinale) ma lascia fuori dai giochi il contenitore politico, sempre per i sondaggi, maggioritario nel Paese in un momento in cui potrebbe gettare tutto il suo peso politico nel passaggio più delicato dell’attuale crisi di governo puntando a incunearsi nelle contraddizioni del Centrosinistra. Con risultati certo da valutare, ma difficilmente negativi.

Reclamare il voto è la caratteristica principale di una forza di opposizione. Oppure rigettare palcoscenici impegnativi, tipo l’Unione europea. Come pure è noto che la prova più difficile per un partito è “passare dalla protesta alla proposta”, peraltro ennesimo slogan caratterizzante della Destra nella prima repubblica. In quel caso, infatti, il pericolo maggiore è scolorire il proprio profilo identitario. Ma forse vale la pena per un interesse superiore: aiutare il Paese a uscire da una difficoltà di sistema. La destra di governo altro non è.

Eppure la trincea del rifiuto, il no a misurarsi con avversari politici senza demonizzazioni o anatemi è l’abito da rifiutare per chi anela a compiere il salto qualitativo indispensabile per una forza politica che si candida a guidare l’Italia. Senza contare il rischio che così facendo si cada, anche da questa parte, in contraddizione. Nell’intervista di oggi al Corriere della sera”,  Giorgia Meloni spiega che una maggioranza di larghe intese non potrebbe produrre un programma unitario ma solo confusione su confusione.

Salvo poi spiegare che Fdi “è responsabile “, è disposta a votare il Recovery, ha detto sì allo scostamento di bilancio e altrettanto ha fatto e farà per le principali misure contenute nei decreti ristori al fine di alleviare le difficoltà di interi settori produttivi. Non sono forse queste le basi di un programma di governo valido in una situazione emergenziale come quella che viviamo? La destra di governo è quella che sa assumersi le proprie responsabilità. A cominciare dalle più gravose.

×

Iscriviti alla newsletter