Skip to main content

La solitudine del numero uno (Mattarella). Il mosaico di Fusi

La solitudine del Quirinale esiste perché i partiti consegnano nelle mani del capo dello Stato il fallimento di due, contrapposte, esperienze di governo. Tutti aspettano che il Presidente, con la consueta pacatezza e saggezza, li tiri fuori dalle secche nelle quali si sono infilati

“All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”.  Chissà in queste settimane convulse e contorte quante volte Sergio Mattarella avrà ripensato a queste parole rivolte al Parlamento il 3 febbraio 2015, giorno della sua elezione. E chissà, invece, quante volte le avranno messe nel soffitto della memoria a impolverarsi, i leader di partito che da domani saliranno al Colle per per le consultazioni.

Già. Perché l’arbitro può svolgere il suo compito solo a patto che i giocatori svolgano con correttezza il loro. Non è quello che è successo e ancora succede. In realtà mai come in queste ore la solitudine del capo dello Stato non è un sentimento ma un dato di fatto. Perché mai come in questi anni l’arbitro ha fischiato falli e scorrettezze  senza che nessuno abbia sentito l’impulso di fermarsi. Molte volte, al contrario, girandosi dall’altra parte.

Le forze politiche che entreranno nello studio alla Vetrata sono scarse di progetti e colme di tattica. Ognuna di esse porterà la sua visione dei fatti ma, almeno stando al balletto delle dichiarazioni preventive e al sabba delle intenzioni sottaciute, nessuna al momento saprà indicare un percorso che sia al tempo stesso praticabile e condiviso.

Da Conte a Salvini, da Zingaretti a Renzi passando per la Meloni, Di Maio e i “piccoli” oggi più che mai corteggiatissimi, sarà almeno in questa prima fase la sfilata dei propositi personali, di ciò che si dovrebbe fare e non si è fatto, dei suggerimenti soffusi di ripicche, delle tentazioni circondate da scetticismo. Tutti aspettando che il Presidente, con la consueta pacatezza e saggezza, li tiri fuori dalle secche nelle quali si sono infilati. Tutti immaginando di poter scaricare sulle spalle di un uomo giunto quasi alla fine del suo mandato il peso di responsabilità che invece appartengono a loro.

La solitudine del Quirinale esiste perché i partiti consegnano nelle mani del capo dello Stato il fallimento di due, contrapposte, esperienze di governo: una di centrodestra e l’altra con maggioranza di colore opposto. Nessuna delle due capace in tre anni di consolidarsi e offrire agli italiani una prospettiva politica credibile nel mare tempestoso della pandemia più globale e feroce che ci sia mai stata. Tante volte il Presidente ha sollecitato una sintonia almeno nel senso dello Stato, nel rispetto dei vincoli di una comunità che non può perdere la sua coesione, anche istituzionale. Troppe volte i protagonisti- ministri, presidenti di regione, singoli leader – hanno detto di sì a parole per poi continuare il copione della discordia e della contrapposizione.

Adesso arriva il momento della resa dei conti, l’atto finale che può avere come sbocco perfino elezioni anticipate. Il presidente del Consiglio ha invocato un esecutivo di salvezza nazionale che stride con la pantomima degli abboccamenti per racimolare una manciata di voti in più. Le principali forze politiche della ex maggioranza inveiscono contro l’incomprensibilità della crisi e poi brigano per ricostruire il perimetro di prima, quasi infischiandosene poi di dover spiegare agli italiani che non hanno assistito ad una puntata di Scherzi a parte. L’opposizione chiede il voto subito unitariamente. Di facciata perché poi ciascuno coltiva un proprio disegno, magari a discapito perfino dei compagni di cordata.

La solitudine del Quirinale è palpabile perché l’idea del Palazzo della politica di riconoscersi in una emergenza che brucia il futuro di generazioni non ha la stessa forza delle manovre per accaparrarsi il posto ritenuto migliore al tavolo della spartizione di incarichi e risorse economiche. Un’istantanea che rimanda l’immagine di un Paese incerto, diviso, impaurito e rabbioso. Che rivolge lo sguardo lassù, al garante supremo della Costituzione.

La stessa che non contempla una Repubblica presidenziale ma che al contrario vede nelle due Camere i polmoni per respirare la democrazia. Ora che i nodi vengono al pettine i giocatori devono essere non solo corretti ma anche trasparenti e all’altezza del compito. L’arbitro farà anche stavolta la sua parte. In solitudine. Con determinazione.


×

Iscriviti alla newsletter