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La via della seta italiana? Il Mediterraneo. Parola di Foreign Policy

Negli ultimi anni Roma è riuscita a costruire un network di diffusione (soprattutto commerciale) nell’intero quadrante del Mediterraneo. Ecco come secondo Foreign Policy

Recentemente sull’autorevole rivista di affari internazionali americana Foreign Policy è stata pubblicata un’analisi in cui si scrive che l’Italia ha costruito una Via della Seta nel Mediterraneo e ha assunto nel bacino un ruolo prominente. Gli autori spiegano che Roma ha stabilito all’interno del Mediterraneo allargato una struttura, sostanzialmente basata su commercio ed economia, del tutto simile alla Via della Seta cinese — la maxi-infrastruttura geo-economica con cui Pechino si proietta verso l’Europa.

La via mediterranea italiana è una fitta rete di relazioni che va dalla Spagna ai Balcani, dal Nord Africa al Medio Oriente scendendo verso il Corno. È uno dei grandi temi di cui Formiche.net si occupa con costanza, cercando di sottolineare come queste aree siano di primario interesse in quanto altra sponda di un paese, l’Italia, per tre lunghi lati immerso nel mare e dunque necessariamente e naturalmente proiettato verso le coste di quegli stati con cui condivide le acque — come l’Impero romano insegna d’altronde.

Un’immagine di quanto questa regione sia importante per Roma: gran parte del suo flusso di esportazioni (l’Italia è la seconda manifattura d’Europa) va ai mercati mediterranei, il cui export supera quello negli Stati Uniti e in Cina. Viene citata per esempio la rete di trasporto Turchia-Italia-Tunisia che attraversa il centro del Mediterraneo, “creando un arco di connettività commerciale dal Maghreb al Mar Nero”. L’hub centrale del corridoio è il porto d’alto mare italiano di Taranto, “situato […] nel cuore strategico del Mar Mediterraneo”.

Dai porti della Tunisia, il corridoio può anche collegare l’Italia all’Algeria e alla Trans-Sahara Highway, estendendo potenzialmente il corridoio Europa-Africa dell’Italia e della Turchia verso sud nell’Africa occidentale fino a Lagos, in Nigeria, ricorda l’analisi. Per FP questo mette “l’Italia di fronte alla prospettiva di essere il custode del commercio europeo verso l’Africa, forse tutte le strade potrebbero nuovamente portare a Roma”. Ma a questo va aggiunto anche l’enorme ruolo che Eni (in cui lo stato ha un ruolo di controllo) ha nel settore energetico regionale: il petrolio in Libia, il gas in Algeria e Egitto, gli investimenti in rinnovabili in Tunisia come altrove, le esplorazioni a Cipro in Albania, gli accordi in Medio Oriente, eccetera.

“Prendendo esempio da Pechino, Roma si sta collocando al centro del commercio, della rete energetica e dei trasporti nell’Europa meridionale e oltre”, scrivono sulla rivista americana (di proprietà del Washington Post, dunque di Jeff Bezos). Questa rinascita italiana nel Mare Nostrum, secondo l’analisi sarebbe favorita dalla Brexit, che ha consegnato a Berlino, Parigi e Roma il ruolo di forze motrici dell’Unione Europea: “L’accoglienza da parte di Germania e Francia dell’agenda mediterranea dell’Italia determinerà la coesione della Ue, con ripercussioni sulla Nato”.

Vista da Washington, scrive Guido Santevecchi del CorSera, “questa è una grande occasione, perché l’amministazione Biden ha già segnalato la volontà di rinsaldare le alleanze tradizionali trascurate, umiliate e bullizzate da Trump. C’è da augurarsi che la nostra politica reclinata su se stessa sappia trovare tempo e lucidità per coglierla”.

(Foto: Il Porto di Taranto)

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