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Matteo Renzi come Matteo Salvini? Il Papeete di Natale spiegato da Cazzola

Ci sono molte analogie l’incauta mossa estiva di Salvini e la levata di scudi dell’ex premier, ora senatore di Rignano. L’obiettivo era lo stesso: far cadere il governo e togliere di mezzo Giuseppe Conte. Ma gli esiti sono diversi…

Il vice segretario del Pd Andrea Orlando non è certo un politico le cui frasi celebri saranno riportate negli Annali. Ma c’ha azzeccato quando ha definito le intemperanze di Matteo Renzi “il Papeete di Natale”. Ci sono molte analogie, infatti, tra la (per lui) incauta mossa estiva di Salvini e la levata di scudi dell’ex premier, ora senatore di Rignano. Il loro obiettivo era lo stesso: far cadere il governo e togliere di mezzo Giuseppe Conte.

Differenti sono gli esiti che i due Mattei si attendono. Salvini puntava alla fine anticipata della legislatura e alle elezioni per mettere a frutto il successo delle consultazioni europee ed ottenere i “pieni poteri” con una maggioranza di destra a conduzione leghista. Quale soluzione di un’eventuale crisi abbia in mente Renzi non è chiara; forse nemmeno a lui. Gli argomenti dell’insoddisfazione a cui porre rimedio facendo saltare il tavolo sono i medesimi: una critica agli alleati sul terreno del “fare”.

Salvini nell’estate del 2019 commise un errore: sottovalutare Conte, ritenendo che avrebbe accettato il preavviso di licenziamento senza fare una piega. Invece Giuseppe si trasformò in Giuseppi, e osò pronunciare in Senato un discorso con il quale sbaragliò la linea di Salvini, riducendolo ad un pentito della sua arroganza, pronto a rimangiarsi tutto pur di non dover scendere dal tram. Ma si trovò in breve seduto sulla pensilina – dove sta ancora – ad attendere che ripassi un’altra corsa. Renzi sembra troppo sicuro del fatto suo e non rendersi conto che il presidente del Consiglio non è più “quell’uomo della strada” finito casualmente a Palazzo Chigi, ma una persona che, in anni di governo, ha stretto rapporti ed alleanze e – tra i morosi della navigazione del suo secondo gabinetto – ha sempre potuto giovarsi della benevolenza del Quirinale, sulla quale ha sempre fatto affidamento.

Se la crisi arriverà in Parlamento, il leader di Iv – come dicevano la matrone romane ai loro figli prima che scendessero in battaglia – rischia di uscire dall’Aula su quello stesso scudo che brandiva – minaccioso – entrando. Il “giovane caudillo” (come venne definito quando ancora era “folgorante i soglio”) è convinto di poter agire sulla base di un presupposto sicuro: la crisi non porterà allo scioglimento delle Camere. Pertanto si comporta come un funambolo che osa compiere mosse spericolate confidando nella rete di protezione (come se chi ce l’ha messa non potesse toglierla).

Le sue critiche al governo Conte 2 hanno un fondamento, ma chi, in politica, apre dei fronti in una situazione tanto delicata deve darsi degli obiettivi perseguibili. Col suo intervento al Senato, Renzi aveva usato i toni e gli argomenti giusti tanto da riprendersi il centro della scena e a mettere in riga il solipsismo del premier. Ma che senso ha avuto la conferenza stampa in cui ha presentato sulla bozza di PNRR tanti rilevi quasi quanto quelli esposti da Martin Lutero nelle sue Tesi? Anche la forma in politica ha il suo valore: quando si eccede diventa sempre più difficile tornare indietro salvando la faccia. Non si vede quale interesse possa avere Matteo Renzi a disfare tutto ciò di cui è stato protagonista nell’estate del 2019: evitare che la destra vinca nelle elezioni anticipate e fare eleggere il Presidente della Repubblica dall’attuale Parlamento.

Quel pericolo non è scongiurato; quelle sfide stanno ancora al punto di prima; le cose non sono cambiate in modo stabile e rassicurante. Anzi la pandemia, con le sue conseguenze impreviste e positive sulla politica della Ue, ha evidenziato ancora di più la pervicacia di Matteo Salvini e Giorgia Meloni nell’insistere su di una linea sovranista e antieuropea, nonostante la clamorosa smentita dei fatti. Se è vero che i 209 miliardi del Recovery plan possono riscrivere un futuro migliore per l’Italia, ha un senso affidare questo compito alla destra-destra che, sono parole di Giancarlo Giorgetti, non ha cultura di governo?

È lecito chiedere, dunque, a Renzi di farci capire se ha un disegno in testa. E di ricordare a se stesso che, ogni volta in cui ha ritenuto di essere il più furbo di tutti, si è trovato da solo con Maria Elena Boschi. Matteo Renzi ha giocato le sue carte in politica nel 2014 (il suo governo giurò il 22 febbraio). Poco dopo, nelle elezioni europee, il Pd trionfò con più del 40% dei voti. Da allora sono passati degli anni turbinosi: non tanto e tanti da giustificare che oggi nei sondaggi Italia viva (ma non vitale), il partito costruito intorno a Renzi, sia dato nei sondaggi a meno del 3%.



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