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Però adesso il Pd si svegli

Il Pd dovrebbe prendere in mano la situazione, indicando una strada da seguire, le cose da fare e le persone da mettere nei posti di governo, premier compreso. Invece sembra prigioniero del suo ruolo di potere, del suo “senso di responsabilità”, della sua missione autoproclamata (non senza fondamento) di “reggitore dello Stato”. L’analisi di Roberto Arditti

Quando un governo giunge alla formalizzazione della crisi significa che i problemi politici sono stati sottovalutati e trascurati per un certo tempo: esattamente la condizione in cui si trova il dimissionario Conte bis.

Sotto questo profilo ha peccato di attendismo il premier, che ha scommesso per mesi sulla forza d’inerzia del suo esecutivo (la squadra più bella del mondo) come elemento in grado in garantire lui e tutta la compagine (con la complicità dell’emergenza perenne causa virus).

E ha finito per mostrare tutta la sua fragilità il M5S, che pure resta il titolare dei gruppi parlamentari più numerosi sia alla Camera che al Senato nonostante le vaste defezioni (segnale di malessere profondo di cui nessuno si è occupato davvero).

Ma soprattutto ha lasciato a desiderare la “performance” del Pd, per ragioni sulle quali occorre soffermarsi con un minimo di pazienza.

Cominciamo col dire (sommariamente) cos’è oggi questo partito, allargandone i confini fino a quelli della sinistra genericamente intesa.

Ebbene esso è l’unico “partito-Stato” della Repubblica, cioè il contenitore politico di due terzi della classe dirigente del Paese.

Un contenitore pieno di difetti ma al tempo stesso necessario (e quindi anche utile), non fosse altro per il fatto che non ne abbiamo uno di riserva (la destra e i grillini sono lontani anni luce da questa condizione).

Questo partito-Stato è al governo da dieci anni consecutivi (con la sola interruzione del Conte I), ha eletto tutti i Presidenti della Repubblica dell’ultimo quarto di secolo (Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella), dispone di una vasta gamma di connessioni, che le altre forze politiche nemmeno sono capaci di immaginare, nei corpi intermedi (organizzazioni sindacali di ogni tipo, associazioni, terzo settore) e nelle amministrazioni centrali dello Stato (ministeri, forze dell’ordine, intelligence, forze armate, agenzie indipendenti, magistratura): insomma è di gran lunga il soggetto politico più strutturato operante in Italia.

Esso però è anche molto altro, ad esempio fuori da confini nazionali.

Ciò è vero innanzitutto in Europa, come dimostra il fatto che esprime il nostro commissario (Paolo Gentiloni) e persino il Presidente del Parlamento (David Sassoli): rendendo così evidente la propria forza anche sui tavoli delle decisioni comunitarie.

Dunque il Pd è forte (anzi fortissimo) politicamente in Italia (al punto da tornare al governo pur essendo andato maluccio assai alle elezioni) ed anche fuori, ragion per cui sarebbe lecito attendersi da esso una guida non dico impetuosa (nei delicati passaggi della crisi e delle settimane che l’hanno preceduta) ma quantomeno salda e intellegibile.

Invece abbiamo visto per settimane un atteggiamento prudente all’inverosimile, una impostazione “conservatrice” volta a salvaguardare l’esistente (inteso come governo, pur chiedendo, a parole e tutti i giorni, lo scatto in avanti), una tendenza sostanziale ad assecondare la volontà del premier di rinviare i problemi anziché affrontarli.

Solo un esempio, tanto per capirci.

Quante interviste ha fatto in questi mesi uno dei dirigenti più raffinati del partito (cioè Goffredo Bettini) per spiegare cosa è giusto e cosa è sbagliato?

E a cosa sono servite tutte quelle interviste, alla luce del fatto che nelle prossime ore si avvia al Quirinale l’iter delle consultazioni?

Insomma il Pd sembra prigioniero del suo ruolo di potere, del suo “senso di responsabilità”, della sua missione autoproclamata (non senza fondamento) di “reggitore dello Stato”.

Adesso però siamo alla crisi di governo, mentre l’Italia affronta una pandemia micidiale, una difficoltà economica e sociale che non ha eguali nel tempo storico recente, un piano d’interventi europei che richiede la discesa in campo delle migliori energie intellettuali e gestionali della nazione.

Poco possiamo chiedere al M5S, perché è già molto se riesce ad evitare di esplodere.

Poco possiamo chiedere a destra, perché non ci sono le condizioni per una reale condivisione delle decisioni.

Resta solo il Pd (più Leu, più Matteo Renzi, più tutto ciò che è sinistra oltre i partiti).

Condizione invidiabile ma anche delicatissima, innanzitutto perché in Parlamento non può certo fare da solo (non ha i numeri).

E allora questo Pd deve abbandonare (almeno un po’) la prudenza delle dichiarazioni felpate del suo segretario e deve prendere in mano la situazione, indicando una strada da seguire nel senso delle cose da fare e delle persone da mettere nei posti di governo, premier compreso.

E deve farlo puntando al meglio, non cercando compromessi al ribasso.

Non sarà facendo “ammuina” che usciremo dalla crisi.

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