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Perché l’Arabia Saudita taglierà le produzioni di petrolio

Riad sceglie di tagliare l’output petrolifero. Vuole rialzare i prezzi davanti a una condizione incerta sul futuro, e facendolo non dispiace agli Stati Uniti. La Russia al contrario aumenta le produzioni per tenere il valore del greggio basso e competere meglio

Il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha deciso: da febbraio il regno ridurrà la sua produzione di petrolio di circa un milione di barili al giorno, portandola poco sopra gli otto milioni. Lo ha annunciato il ministro dell’Energia, spiegando che la decisione è collegata al periodo di incertezza sul futuro.

Su cui però un elemento è certo: tra pochi giorni Donald Trump non sarà più alla Casa Bianca e da lì smetterà di pressare Riad per tenere alte le produzioni e dunque bassi i prezzi. Una necessità con cui l’americano intendeva evitare aumenti alla pompa, che sono quelli di cui risentono di più i cittadini – la necessità era chiaramente collegata al contraccolpo che aumenti avrebbero potuto avere sulla gente, e quindi sulla percezione di una presidenza particolarmente amica del regno saudita e l’effetto di tutto questo sulle elezioni di novembre (che Trump ha perso).

Il consumo di petrolio si è ridotto in diverse parti del mondo, effetto collegato chiaramente alla pandemia, alle chiusure e alle restrizioni di mobilità. La stabilizzazione dei prezzi, per i grandi produttori come l’Arabia Saudita, è necessaria. Nonostante gli intenti di bin Salman infatti, Riad è ancora fortemente dipendente dagli introiti collegati al petrolio, da cui il principe vorrebbe differenziare l’economia del regno.

Subito qualcosa s’è mosso: all’annuncio saudita gli indici hanno risposto positivamente – per Riad – ossia hanno rialzato il valore del petrolio al di sopra dei 50 dollari al barile. Non accadeva da diverso tempo. Anche l’Opec ha accolto positivamente la decisione – circostanza non troppo particolare se si considera che l’organizzazione dei produttori è fortemente dipendente dai sauditi, primi per output e riserve, e poi trova nell’aumento dei prezzi una forma di respiro.

La Russia, che invece fa parte del sistema allargato con cui l’Opec dialoga con altri produttori fuori dal cartello, si era invece mossa in anticipo nei giorni scorsi. Temendo che un calo delle produzioni, e dunque un rialzo dei prezzi, facilitasse troppo altri esportatori, aveva annunciato un rialzo: entro marzo dovrebbe portare sopra ai 9 milioni di barili/giorno le produzioni. Mosca teme per esempio che i prezzi alti finiscano per facilitare l’export di petrolio da scisto, e del gas di scisto, che gli Stati Uniti estraggono con costi superiori a quelli classici e per questo vogliono in generale (al di là delle ricerca del consenso popolare) tenere i prezzi su.

La posizione della Russia è importante perché le differenze di visioni con i sauditi hanno portato a crisi – come all’inizio della pandemia, quando il valore del greggio subì un tonfo storico. Riad allinea questi suoi movimenti su un generale ri-posizionamento in attesa dell’avvio della nuova amministrazione statunitense – con cui teme problemi di incomprensione. Allo stesso modo, ma in senso opposto, la Russia persegue i suoi interessi con la consapevolezza che con Washington avrà più problemi di adesso.

 



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