Un voto contrario alla relazione di Bonafede al Senato “sarebbe il preludio alle dimissioni” di Conte, dice il costituzionalista di Roma Tre Marco Ruotolo. Voto anticipato? Non è escluso. Ma il semestre bianco può blindare tutto
Altro che crisi scampata. Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo per la maggioranza (relativa) strappata al Senato che Giuseppe Conte deve di nuovo trattenere il fiato. Mercoledì prossimo c’è un altro voto che può rovesciare, una volta per tutte, il governo Conte-bis. La palla, di nuovo, è in mano a Matteo Renzi e alle sue truppe. Se la relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede sarà bocciata al Senato, dice il costituzionalista Marco Ruotolo, professore di Diritto Costituzionale all’Università di Roma Tre, il premier potrebbe dover dare le dimissioni.
Professore, cosa succede se il governo finisce sotto?
Se sulla relazione non vi fosse il voto favorevole della maggioranza, potrebbe essere il preludio alle dimissioni del governo. Ma non escludo che vi possa essere un rinvio della data di presentazione della relazione al Parlamento, poiché questa deve compiersi entro venti giorni dall’inaugurazione dell’anno giudiziario, che quest’anno è programmata per il 29 gennaio. Sarebbe soltanto un rinvio, nell’attesa e nella speranza di trovare un sostegno per l’azione di governo che oggi non sembra esserci.
Ci sono precedenti?
A mio ricordo non c’è un precedente specifico, che riguardi il voto sulla relazione riguardante lo stato della giustizia. Giuridicamente non sarebbe equiparabile ad una sfiducia, ma, politicamente, il voto contrario potrebbe essere il preludio alla apertura di una crisi in senso formale.
Con un voto contrario Conte dovrebbe salire al Quirinale?
A mio giudizio sì, prendendo atto dell’assenza di una maggioranza e consentendo così al Presidente della Repubblica di esercitare i suoi poteri che presuppongono la formalizzazione della crisi.
Quanto può andare avanti un governo che non ha la maggioranza assoluta in Parlamento?
Se guardiamo ai precedenti, dovrei rispondere non a lungo, anche se non mancano eccezioni, come quella del governo Andreotti III del 1976, noto come governo della “non sfiducia”, rimasto in carica per quasi due anni. Fisiologicamente il governo dovrebbe poter contare su una maggioranza politica sufficientemente coesa.
Altrimenti?
Altrimenti è esposto a costante rischio di crisi. La situazione è tanto più preoccupante, se consideriamo che il governo è chiamato a gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti e poi a impiegare al meglio i fondi europei. Tutto ciò imporrebbe un rafforzamento della maggioranza e probabilmente la formazione di un nuovo governo, che potrebbe essere sempre a guida Conte. Un tale passaggio non è mancato in passato, portando all’ingresso nell’esecutivo di forze politiche originariamente all’opposizione.
Anche trovando di volta in volta i numeri, resta il problema delle commissioni. Senza Italia Viva la maggioranza come si trova?
Certo. Questo è un grande problema, perché in Senato il governo non avrebbe la maggioranza in Commissioni strategiche, come Bilancio e Affari costituzionali. Ogni provvedimento proposto dal governo sarebbe a rischio di mancata approvazione.
Su quali altri dossier un governo simile si troverebbe “delegittimato” o indebolito?
Ci sono passaggi strategici e misure urgenti da adottare. Riguardano il Recovery plan, la campagna vaccinale, i ristori. E mi pare che la tensione sociale stia crescendo. Poi c’è il capitolo giustizia, dalla discussione sulla prescrizione alla prossima relazione sull’amministrazione della giustizia del ministro Bonafede.
È improbabile ad oggi un ritorno alle urne?
Non lo possiamo escludere, se l’attuale maggioranza non riesce ad estendere il suo perimetro o se le forze politiche non si trovassero d’accordo su una soluzione alternativa, quale ad esempio un governo “istituzionale” o, come si sarebbe detto un tempo, di “unità nazionale”.
Crede che un “governo dell’astensione” sia legittimato a trattare questioni rilevanti come l’allocazione di 209 miliardi di fondi europei?
Non è tanto un problema di legittimazione, ma di efficacia e di efficienza dell’azione di governo.
Il semestre bianco si può davvero considerare “una ciambella di salvataggio” per la legislatura?
Sì. Perché il tempo per indire le elezioni è piuttosto stretto. Il semestre bianco inizia tra appena sei mesi e potrebbe esservi interesse a prolungare la vita di un esecutivo proprio per evitare l’ipotesi di scioglimento delle Camere, che comunque resta soluzione estrema nell’esercizio delle prerogative del Capo dello Stato.
Sul ruolo del presidente Mattarella si fa molta confusione. Cosa può fare effettivamente per guidare la crisi e quali sono i limiti che non può varcare?
Come ho detto, il Presidente può intervenire soltanto se si apre formalmente una crisi, il che ancora non è accaduto, poiché nell’ultima votazione il Governo ha avuto comunque il sostegno della maggioranza dei presenti in ciascun ramo del Parlamento.