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Conte, Renzi e Mattarella. Antonucci legge la crisi di governo in penombra

Non resta che attendere che l’equilibrio di una crisi in penombra si completi nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, sotto la guida istituzionale salda di una Presidenza della Repubblica ancora non in semestre bianco e molto attenta alle ragioni del tempo dei costruttori. L’analisi di Maria Cristina Antonucci

In questi giorni si fa un discreto parlare della crisi al buio, aperta dalle richieste politiche di Matteo Renzi e di Italia Viva all’esecutivo di Giuseppe Conte. Con tale espressione si intende designare la circostanza dell’apertura formale di una crisi di governo, in assenza di maggioranza alternative, pronte a guidare l’esecutivo. L’ipostatizzazione del ruolo di creatore di caos, attribuito a Matteo Renzi, accompagna in genere il ricorso alla definizione di crisi al buio.

In realtà, il recupero stesso dell’idea di crisi al buio costituisce una rappresentazione pubblica creata dalla attuale pars maior della attuale coalizione di governo: M5S e, in parte, alcune della anime del Pd. La crisi non è al buio, al massimo in penombra, per una serie di ragioni piuttosto semplici da comprendere, laddove si faccia riferimento a considerazioni alternative alla normale meccanica di un sistema parlamentare.

Come primo elemento va considerato che, al netto delle accuse ad IV di avanzare richieste di maggiori posizioni di potere all’interno del governo, la crisi è su temi di politiche. Renzi ha posto una serie di questioni sui contenuti delle politiche relative alla gestione dei fondi europei per la ripresa economica e una serie di rilievi sui metodi di costruzione delle diverse strutture parallele al sistema istituzionale (task force, commissari, comitati tecnico-scientifici), che da un mero ruolo di consulenza alle amministrazioni si sono trovate a gestire interi ambiti di politiche e ad incidere in modo significativo sull’intero sistema decisionale. Non si tratta di questioni capziose in merito al futuro del Paese, ma di temi di primo piano, che per questioni di metodo e merito non possono essere considerate come rivendicazioni personali.

In secondo luogo, per evitare la crisi al buio quest’ultima va aperta e gestita interamente in Parlamento, in una situazione oggettiva in cui è davvero impensabile il ricorso ad elezioni. La circostanza della parlamentarizzazione della crisi rincuora i fautori della democrazia parlamentare, che hanno visto, nel corso di questo ultimo anno, marginalizzato, nelle scelte e nell’accountability del governo, il ruolo di questa istituzione centrale; al tempo stesso mentre rende agitati i sonni di chi preferisce confrontarsi con stati generali, commissioni, comitati tecnico-scientifici, commissari straordinari piuttosto che con il confronto con le forze politiche (e la loro conta!) in Parlamento.

Nonostante la composizione parlamentare attuale costituisca una immagine non corrispondente a realtà della articolazione dei partiti nel Paese in questa fase, una parlamentarizzazione della crisi di governo può ancora far emergere i numeri e i formati per maggioranze alternative all’attuale (con un innesto di responsabili, con l’apertura a forze politiche differenti, come FI, o con la creazione di un governo di responsabilità nazionale). Nessuna forza politica appare in questa fase difficile per il Paese così irresponsabile da non voler negoziare nella sede della democrazia parlamentare soluzioni alternative all’attuale governo, alla luce dei risultati difficilissimi che il sistema Paese ha riportato dall’attuale gestione della pandemia.

Le prospettive politiche, quindi, non difettano e un rimpasto ministeriale consistente, con un cronoprogramma per diverse politiche pubbliche nei prossimi mesi potrebbe emergere in modo chiaro già nelle prossime ore. Quello che manca, probabilmente, è la volontà politica del governo attuale di farvi ricorso mediante un confronto di merito nelle aule parlamentari; questo si comprende soprattutto se si immagina che il frutto di tale dialettica parlamentare possa essere lo smarrimento, sulla via, di nomi rilevanti dell’attuale esecutivo, destinati ad essere sostituiti e a veder cambiare in modo deciso la rotta delle relative policy.

Non resta che attendere che l’equilibrio di una crisi in penombra si completi nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, sotto la guida istituzionale salda di una Presidenza della Repubblica ancora non in semestre bianco e molto attenta alle ragioni del tempo dei costruttori.



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