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La Via della Seta passa anche sul mare. Il commento di Valori

L’accordo firmato a fine 2020, dopo sette anni di negoziati, tra Cina e Unione europea sugli investimenti, rappresenta un’intesa storica che apre ad una nuova “via della seta” tra il vecchio continente e il mercato cinese, in particolare nel settore manifatturiero dei servizi. Il commento di Giancarlo Elia Valori

Il 30 dicembre 2020 Cina e Unione europea hanno siglato un accordo in tema di investimenti reciproci. Dopo sette anni di negoziati, nel corso di una conference call tra il presidente cinese Xi Jinping e Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, affiancata dal presidente francese Emmanuel Macron, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, è stato approvato il “Comprehensive agreement on investments” (Cai).

Si tratta di un accordo storico che apre una nuova “via della seta” tra il vecchio continente e l’immenso mercato cinese con particolare riguardo al settore manifatturiero e a quello dei servizi.
In questi campi la Cina si impegna a rimuovere le norme che fino a oggi hanno fortemente discriminato le imprese europee, garantendo certezze legali per chi intende produrre in Cina, allineando sul piano normativo le aziende europee e quelle cinesi e favorendo la costituzione di joint venture e la stipula di accordi commerciali e produttivi.

L’accordo prevede anche garanzie che rendano più facili, per le aziende europee, le pratiche burocratiche necessarie per completare tutte le procedure amministrative e le autorizzazioni di legge, abbattendo gli ostacoli burocratici che hanno tradizionalmente reso difficile l’operatività delle imprese europee in Cina.
È la prima volta nella sua storia che la Cina si apre in modo così ampio alle aziende e agli investimenti stranieri.
Per attrarre questi ultimi Pechino si impegna ad allinearsi all’Europa sul piano dei costi del lavoro e sulla tutela dell’ambiente, allineando progressivamente i propri standard a quelli europei, in tema di lotta all’inquinamento e di diritti sindacali.
Per rendere concreto e visibile questo impegno, la Cina aderisce sia agli Accordi di Parigi sul clima che alla Convenzione europea sull’organizzazione del lavoro.

L’adesione cinese agli Accordi di Parigi sul clima e sul contenimento delle emissioni di Co2 nell’atmosfera, è anche il frutto di un impegno non solo formale e propagandistico di Pechino. Infatti uno degli obbiettivi di fondo dell’ultimo piano quinquennale, il 13°, 2016-2020, era quello di “rimpiazzare una crescita sbilanciata, scoordinata e non sostenibile anche con misure innovative, coordinate, attente alla tutela dell’ambiente”.
Con la riduzione, nel quinquennio coperto dal 13° piano quinquennale, del 12% delle emissioni di Co2, un risultato che non è stato conseguito nello stesso lasso di tempo da nessun altro dei paesi industriali avanzati, che dimostra che la “svolta verde” tanto vagheggiata dalle istituzioni europee in Cina è stata concretamente avviata, al punto da rendere realistico il raggiungimento del livello “emissioni zero” del gas serra entro il 2030, grazie alla totale rinuncia all’uso dei combustibili fossili nella produzione di energia.

La “svolta verde” cinese è stata affidata dal presidente Xi Jinping alla “stella nascente” del governo di Pechino, il giovane (47 anni) ministro delle Risorse naturali, Lu Hao, scelto come decisore politico e animatore operativo di un grande progetto di modernizzazione del paese.
Lu Hao ha un curriculum professionale e politico di tutto rispetto: economista per formazione, è stato dapprima nominato primo segretario della “Lega della gioventù comunista”, per poi ricoprire dal 2003 al 2008 l’incarico di vice sindaco di Pechino. Governatore della provincia dell’Hejlongjiang (37 milioni di abitanti), dal marzo 2018 è stato nominato ministro delle Risorse naturali.

È il ministro più giovane del governo cinese ed è il più giovane membro del Comitato centrale del partito.
Nell’affidare a Lu Hao il suo seggio ministeriale, il presidente Xi Jinping ha sottolineato: “vogliamo acque e montagne verdi non vogliamo solo molto Pil, ma soprattutto un forte e stabile Pil verde”.
Un “Pil verde” è anche uno degli obbiettivi del “Recovery plan” elaborato dall’Unione europea per favorire l’uscita dei propri membri dalla crisi economica determinata dalla pandemia di Covid-19 attraverso misure e investimenti proprio nel campo delle energie rinnovabili.

La “svolta verde” può rappresentare il nuovo centro di gravità delle relazioni tra Europa e Cina, secondo le linee di indirizzo operativo tracciate nel “Comprehensive agreement on investments”, siglato il 30 dicembre dello scorso anno.
L’impegno cinese nel settore delle rinnovabili è concreto e deciso: la produzione di energia solare nel 2020 si è assestata a un livello pari a cinque volte quello degli Stati Uniti, mentre grazie all’attivismo di Lu Hao nel 2019 ha scalato la classifica Onu delle nazioni impegnate fattivamente nel controllo del “climate change”, passando dal 41° al 33° posto della classifica mondiale.

Lo scorso 15 gennaio, il ministro Lu Hao ha pubblicato sul “People’s daily” un articolo nel quale vengono esposte le sue proposte nell’ambito del 14° piano quinquennale, il prossimo.
Nel quinquennio la Cina dovrà “promuovere e sviluppare la convivenza armoniosa tra uomo e natura, attraverso il miglioramento a tutto tondo dell’efficienza nell’uso delle risorse attraverso un equilibrio corretto tra protezione e sviluppo”.
Questo indirizzo di ricerca dell’equilibrio tra protezione dell’ambiente e sviluppo dell’economia può essere ricercato, nella strategia di Lu Hao – approvata da tutto il governo di Pechino – nella produzione di energia elettrica a partire dal moto delle onde marine. La produzione di elettricità usando il moto ondoso può rappresentare un asset fondamentale nella produzione di energia pulita in assenza di qualsiasi impatto ambientale.

L’Europa è stato il primo continente a sviluppare le tecnologie di produzione di energia marina, tecnologie che si sono diffuse negli Stati Uniti, in Australia e, soprattutto, in Cina.
Oggi il 40% della popolazione mondiale vive entro un raggio di 100 chilometri di distanza dal mare e questo rende l’energia marina facilmente accessibile e trasportabile.
Utilizzando il modello matematico Swan (Simulating waves nearshore) si può vedere che lungo le coste che si affacciano sul Pacifico meridionale vi sono hotspots energetici ogni cinque chilometri dalla riva, a una profondità che non supera i 22 metri. In altre parole grazie alle correnti, alle onde e alle maree, il Pacifico ha una stabile sovrabbondanza di energia estraibile dal moto marino.
L’energia oggi si estrae dall’acqua prevalentemente con un dispositivo detto “pinguino”, lungo circa trenta metri che, collocato in mare a una profondità massima di 50 metri, produce energia senza alcun impatto negativo sulla fauna e sulla flora marine.

Un’altra tecnologia fondamentale è quella denominata Iswec (Inertial sea waves energy converter). Si tratta di una macchina alloggiata all’interno di un galleggiante lungo 15 metri che, grazie a un sistema di giroscopi e di sensori, è in grado di produrre annualmente 250 mwh di energia elettrica, che occupando un’area marina di soli 150 metri quadri, consenta di ridurre le emissioni di Co2 per un totale di 68 tonnellate l’anno.
Iswec è un prodotto tutto italiano, nato da una ricerca del Politecnico di Torino e sviluppato grazie a una sinergia tra Eni, Cdp, Fincantieri e Terna.

L’Italia è all’avanguardia nella ricerca e nella produzione di tecnologia utilizzabile nell’estrazione di energia “verde” dal moto ondoso, e questo spiega l’attenzione con la quale il ministro cinese Lu Hau guarda al nostro paese come fonte di sviluppo delle energie rinnovabili in Cina e l’impegno che il giovane ministro, sollecitato dal Presidente Xi Jinping, ha messo nel favorire un importantissimo accordo di cooperazione nel campo delle energie rinnovabili tra l’International world group (Iwg) di base a Roma e il “National ocean technology center”(Notc), centro di ricerca e sviluppo cinese alle dirette dipendenze del ministero delle Risorse naturali di Pechino.

L’accordo di cooperazione prevede fra l’altro lo sviluppo di sinergie euro-cinesi nella ricerca e nella produzione di tecnologie essenziali nella produzione di energia “pulita” dalle acque del mare, nel quadro di un’ampia strategia di cooperazione euro-cinese in grado non soltanto di sostenere gli sforzi concreti e verificabili del governo di Pechino di implementare seriamente il progetto strategico di abbattimento dei gas serra e dell’inquinamento da combustibili fossili, ma anche di sostenere il nostro paese nella produzione di energia “verde” secondo le linee guida del Recovery plan europeo, che impegna i paesi membri dell’Unione a utilizzarne le risorse privilegiando la tutela dell’ambiente.

L’accordo tra Iwg e Notc segna un passo avanti significativo nella cooperazione scientifica e produttiva tra la Cina e il vecchio continente e aggiunge un altro miglio nella costruzione di una nuova via della seta, un miglio di mare.



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